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Recuperare il senso del Natale del Redentore

Natale del Redentore è anche il titolo di un oratorio per soli, coro ed orchestra del magnifico compositore Lorenzo Perosi (Tortona, 21 dicembre 1872 – Roma, 12 ottobre 1956).

Ma in questo scritto non si parlerà di musica sacra anche più o meno moderna per arrivare al Gospel, bensì cercare di dare una parvenza anche spirituale e non solo consumistica al Natale stesso.

Il termine Natale è da ricondursi all’aggettivo latino natalis, col significato di natalizio, nel senso di “qualcosa che riguarda la nascita”, mentre redentore significa sostanzialmente riscatto anche emotivo e, quindi, salvezza.

In soldoni, con la nascita di Gesù e per la gioia degli operatori economici dei centri commerciali, si è avuta una frattura nel mondo antico nel modo di pensare.

I quattro evangelisti assurti a portavoce ufficiali e cantori di un regime teocratico nell’intimo, un po’ come Corriere della Sera o la Stampa con i vari governi, hanno sancito una sorta di supremazia dell’uomo sul fato e trovata la quadra al Kaos primordiale con le più pregnanti – anche se non capite – parole che in principio era il verbo.

E potete immaginare cosa significasse 2000 anni fa la frase ama il prossimo tuo come te stesso.

Perché da lì si deve partire per avere la parvenza di spiritualità di cui ho parlato sopra.

Ma attenti bene. Analizzando la frase, su cui sono diventati mezzi matti tutti i filosofi che si sono lambiccati la testa per coniugare la filosofia aristotelica con la Sacra Parola e riuscendoci malamente tanto che il nichilista Nietzsche ebbe a dichiarare la morte di Dio per chiudere il cerchio, si possono avere spunti interessanti dal punto di vista psichiatrico sperando di non sfociare nello psicotico.

Cioè che prima si deve amare sé stessi con buona pace di Jung e arrivare al massimo grado di conoscenza a tutto tondo. Solo così facendo, attraverso l’analisi dell’io per un verso e del sé per un altro e la piena cognizione del proprio spirito, si è pronti ad interfacciarsi verso l’altro e essere misericordiosi.

Nel Tempio di Apollo a Delfi , in Grecia , 2000 anni fa fu scritto «conosci te stesso» (in greco antico γνῶθι σαυτόν).

Quindi nulla di nuovo se non la diversa presa di coscienza di essere un altro tipo di uomo.

Uno spirito e non solo un ammasso di carne pensante e qualcuno anche pesante.

Facendo ciò, con la conoscenza del proprio io a mezzo anche della meditazione, si possono comprendere anche al meglio le faccettature evangeliche dei nostri quattro amici di cui sopra per arrivare alla conclusione che il vero messaggio rivoluzionario non è la Speranza di resurrezione -dal momento che all’uomo proprio non va giù che deve morire e non capendo il senso dell’esistenza se non il pragmatico Schopenhauer con l’aforisma che la vita è un pendolo che oscilla tra noia e dolore – ma la Misericordia.

Non dimentichiamoci infatti che durante la liturgia il celebrante, nel momento della elevazione del corpo di Cristo dice: ricordati o Signore di coloro che si sono addormentati nella speranza di resurrezione e per concludere con un secco mistero della fede.

Segno inequivocabile che anche loro ci credono pochino a sta faccenda.

O almeno sembra così.

Perché nel marketing aziendale della Santa Romana Chiesa e sul valore della comunicazione si è persa la strada e risulta svilita la parola Misericordia che è e rimane il sentimento rivoluzionario per eccellenza che deve essere coltivato ogni giorno – come auspicato dai grandi mistici cristiani che avevano in sant’Agostino la punta di diamante – per arrivare ad uno spirito più vicino all’ideale di Cristo ma fallendo miseramente in una società sempre più edonistica.

Inutile il tentativo di Karl Popper di sgretolare la società materialistica che, paradossalmente, è nata con Marx dando un nome e ciò che doveva essere combattuto per la salvezza non dell’uomo, ma degli operai e i braccianti, perché il sistema ha perso tutti quegli stimoli di fede e di riflessione – se non di preghiera e di meditazione – in funzione del Dio moderno: il denaro.

Ne consegue che pochi capiscono appieno il significato del Natale, rimanendo in apprensione per i regali da mettere sotto l’albero che risulta quindi un totem agnostico tra i volti sorridenti di chi scarta i regali e non rendendosene conto dell’umiliazione che danno a Cristo e decretandone il Suo fallimento.

Perché il problema vero del Natale non è la perdita del significato di Salvezza per tutti noi, non è la rinnovazione della promessa della Misericordia e quindi del Perdono, ma stabilire chi chiude a casa i cappelletti fatti a mano e trovare un cappone buono da fare in brodo.

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