Una storia sul coraggio e sulla forza per restare in piedi e non arrendersi davanti a qualsivoglia difficoltà
Chitarrista, produttore artistico, didatta e scrittore con all’attivo 18 lavori discografici e numerose, anzi, centinaia di collaborazioni con artisti del panorama sia nazionale che internazionale e fondatore del Cellar Studio di Napoli. Ama definirsi sia musicista che scrittore, ai miei occhi, quelli di uno spettatore è un artista a tutto tondo che si muove e si mostra laddove la passione chiama.
Il suo ultimo romanzo è “Memorie di una macchia di sangue” edito da Coppola Editore, fa parte della collana “Le Cartoline”, composta da 14 romanzi in cui ogni autore situa il romanzo in anni e città diverse. Fabrizio Fedele ha scritto altri tre romanzi, “Koala”, vincitore de Il Premio Letizia Isaia nel 2007, “A.C.D. Accordi”, “Sangue Randagio”, due libri di racconti, “Pensieri Disadattati” e “Cerchi di luce soffusa”. Ha inoltre scritto un libro illustrato “Mannarella” ed è presente nelle raccolte “Stige” e “Secrezioni”
Fabrizio come nasce la tua passione per la scrittura?
“Nasce da piccolo, quando ero un lettore non proprio accanito, sebbene mi piacesse inventare personaggi e raccontar storie. La letteratura che ci imponevano a scuola non era, per un ragazzo della mia età, entusiasmante. Ancora non mi rendevo conto della grandezza di alcuni di quei grandi autori… il tempo ha poi sanato la mia profonda ignoranza. Da giovane cercavo altri stimoli, però, più inclini alla mia natura introversa. E così ho scoperto una letteratura ‘differente’ da quella che ci proponevano tra i banchi. Autori come Lovecraft, Allan Poe fino ad approdare a Barker e infine a King del quale ho fatto man bassa; storie e personaggi diventati immortali, alcuni dei quali, ancora oggi, meravigliosi”.
Che cosa trasmetti attraverso la scrittura che è differente rispetto alla musica?
“Questa domanda dovresti porla a chi mi legge. Non saprei rispondere”.
“Memorie di una macchia di sangue” è il tuo ultimo romanzo ambientato ad Auschwitz…
“Sì, l’ultimo romanzo è ambientato ad Auschwitz nel 1945. Questa è la storia di un prigioniero bambino che, proprio durante la liberazione del campo, fu lasciato solo, dimenticato da tutti”.
Ci sono delle caratteristiche comuni fra te e il protagonista Nicola?
“Forse la forza di restare in piedi e non arrendersi davanti a qualsivoglia difficoltà”.
Gli animali, le voci e i tedeschi, ti ispiri a Orwell o c’è realmente qualcuno nella stalla insieme agli animali?
“Autori come Orwell, K. Dick, Saramago sono un’ispirazione costante, specie in questo periodo storico. Però il romanzo ha tutt’altra direzione e volontà. Non vuole essere un racconto distopico né tanto meno di fantascienza. Volevo, a dirla tutta, raccontare una storia animalista che però ha preso una piega inaspettata trasformandosi in una favola a lieto fine… o quasi”.
Nicola in questo libro, Nik in un altro, ti piace questo nome o c’è dell’altro?
“Il nome del personaggio ritorna in quasi tutti i miei scritti. Ma è solo quello. Le storie non sono legate tra loro se non dal fatto che ho preso ispirazione da un uomo al quale devo tanto e che mi è stato e mi è di grande esempio. Una sorta di omaggio a questa figura di mentore”.