Nel canto XXVI dell’Inferno di Dante Alighieri la figura principale è Ulisse, messo all’inferno perché considerato sostanzialmente un grandioso paraculo e per l’epoca non andava bene, al contrario di oggi.
È logico che per il Sommo Poeta l’inserimento di detto eroe in tale Cantico era funzionale a gettare fango su Firenze in virtù dell’esilio di Dante stesso dalla sua amata città.
Nell’era moderna attuale non so se Ulisse sarebbe stato inserito là, ma piuttosto forse in Paradiso.
E cerco di spiegare il perché, pur non essendo io Sermonti, che è stato un maestro nelle spiegazione di tale capolavoro.
Renè Guenon(1886-1951), il grande studioso ed esoterista Francese, riteneva in maniera del tutto unilaterale che l’opera era sostanzialmente un trattato per soli iniziati all’esoterismo a cagione di una frase nell’incipit dell’Inferno:O voi ch’avete li ‘ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto ‘l velame de li versi strani e il riconcorrersi del numero 3 come struttura del poema.
In realtà a me sembra una grandiosa forzatura, per non usare altri termini, che svilisce la Fede Cristiana del nostro portavoce Italico laddove, per noantri peccatori, il numero 3 simboleggia la Trinità.
Dante sostanzialmente era epico e ne aveva coscienza e rappresentava e rappresenta l’ultimo baluardo di un’opera sostanzialmente reazionaria e contro il sistema vigente all’epoca, spalando badilate di letame su chi gli stesse indigesto o non era in linea con il suo modo di sentire, dispensando censure evangeliche a destra e a manca manco fosse un neocatecumenale attuale.
Il contrario esatto di Petrarca che può essere considerato, forse, il primo scrittore veramente europeo per la visione d’insieme delle cose, ciò in virtù della macroscopica differenza che mentre Dante si sentiva , sulla scia della filosofia Scolastica e lo studio di San Tommaso un peccatore a prescindere, la modernità del Petrarca consiste nel fatto che, avendo a parametro la spiritualità insuperabile di Sant’Agostino, è stato forse il primo a parlare del sé, non dell’io.
E da qui la Sua modernità con punte di psicoanalisi interiore.
Ecco perché, da profano che fa un’accozzaglia di nozioni per scrivere articoli, suona strano l’inserimento di un mito greco in tale girone, quando invece e’ stato sempre considerato – a ragione – un eroe moderno al punto che il Petrarca forse, per la sua visione di insieme di cui ho parlato prima, lo avrebbe inserito in Paradiso.
Ora, se si analizza al meglio Ulisse, si desume la presunta modernità da alcuni aspetti di non poco conto.
Modernità di facciata di cui dirò dopo.
Era un cittadino del mondo e aveva desiderio più di conoscenza di nomi nuovi o follie nuove , come declamava Seferis (1900-1971 e premio Nobel per la letteratura) nella poesia Elena, che di fare rientro alla base ad Itaca presso la moglie, altrimenti non si spiega come ci abbia messo ben 10 anni e girato in lungo e in largo, di traverso e di profilo il Mediterraneo, non il Verghereto.
E infine donnaiolo in considerazione che sulla sua relazione con la ninfa Calipso non ce l’ha raccontata mica tanto giusta.
Quindi non aveva confini geografici o mentali con il suo peregrinare tanto che si usa spesso, per i più avveduti, il termine “ulissismo” per indicare quelle persone affette da una inguaribile volontà di viaggiare.
E forse era anche un Sagittario, sempre con la valigia in mano.
Amava il confronto e la conoscenza dei popoli il che fa la differenza con il turista mordi e fuggi rispetto ad un viaggiatore incallito.
Sensibile al fascino femminile sino alle ipotetiche nefaste conseguenze se non fosse stato accorto, era un must di una virilità ostentata non nel senso fisico del termine quanto nella determinazione a tutela degli amici e compaesani tanto da ritenere che forse – sul punto – fosse un calabrese in pectore, all’epoca Magna Grecia.
Ma la cosa interessante è il suo ritorno a Itaca e al casino che ha combinato quando ha visto che la sua casa era occupata dai Proci che miravano a copulare con quella illusa bietolona della moglie che non sapeva neanche rammendare e doveva cominciare ogni mattina da capo.
La modernità sul punto è che è il classico eroe moderno che prima si è fatto bellamente gli affari suoi (per non usare termini scurrili) per 10 anni con l’atavica sicurezza della fedeltà della moglie al suo ritorno, per poi riaffermare un principio di proprietà e non di affettività sia sulla casa sia sulla sua donna.
Oggi è lo stesso: con la società attuale sono crollati gli steccati e non esistono -almeno in Europa – confini veri se non per quegli africani che solcano lo stesso Mediterraneo di Ulisse con ben altro spirito e prospettive.
Gli uomini continuano a gestirsi in maniera unilaterale senza interfacciarsi con la donna che hanno accanto, ma fatto salvo il concetto che la stessa è sua proprietà e facente parte di un arredamento di casa, preferendo stare in giro con gli amici in barca a vela e magari avere relazioni fugaci, che alimentare il concetto del nostos (greco νόστος), il ritorno a casa dalle avventure.
Concetto centrale che va ad indicare gli affetti sicuri ammantanti di malinconia.
Una modernità di facciata nei fatti concludenti perché – semmai – Ulisse è attuale non moderno, il che è differente.
Perché essere attuale significa un tempo che si cristallizza implicandone il trascinamento nell’eterno mentre il moderno è un concetto relativo ed effimero perché quando già pensato si è catapultati nel passato e diventando subito vintage.
L’immanenza della attualità e la fugacità del moderno.
Ulisse è attuale, non moderno e ricopre i clichè di un uomo che si ripete a se stesso a scapito della donna nel corso dei secoli e facendoci prendere atto che non è cambiato nulla.
Svilito il viaggio, svilito il ritorno, rimane solo un trofeo di nome Calipso.