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L’Appennino umbro, tanto bello quanto dimenticato e senza servizi

Mi reputo un uomo straordinariamente fortunato a vivere in Italia – pur nelle Sue meravigliose contraddizioni – e soprattutto in Umbria.

Noi italiani abbiamo sempre avuto il senso dell’appartenenza, ad un luogo, ad una persona, ad un sentimento che diventa invincibile con una passione che spesso sfocia in un mantra, ora negativo ora positivo.

Ora non sto qui a decantare le bellezze della nostra regione, ad elencarle una ad una perché se da una parte ci vorrebbero 20 pagine di questo articolo, potrebbe accadere che lascio fuori qualcosa e provocando un moto di ribellione nel lettore che andrebbe a considerarmi un cretino.

Ho già sfiorato l’argomento in miei precedenti articoli quando ho parlato del ponte tibetano nel sellanese (un orrore) e quando ho parlato di pievi che affastellano le nostre montagne, ma oggi do un taglio diverso a quanto ho sempre pensato e sostenuto: lo spopolamento della montagna.

L’Umbria è sostanzialmente divisa in zone di influenza turistica: i perugini guardano verso il Trasimeno, i tifernati verso il Casentino, spoletini e ternani verso la Valnerina, folignati verso Colfiorito e Sellanese, orvietani verso l’alto Lazio per fare un esempio.

A me interessa la zona appenninica che da Colfiorito arriva verso la Valnerina e coprendo una parte cospicua del territorio che è sostanzialmente abbandonato a se stesso.

Ora, le amministrazioni comunali delle città di riferimento che hanno buona parte del territorio che sfocia nella montagna, si sono accorte tardivamente che da una parte la urbanizzazione della pianura non va assolutamente bene e – di converso – non va bene che ci siano tante frazioni montane che in inverno hanno due abitanti che si ripopolano solo in estate, quando l’immigrato fa ritorno al paesello a casa degli antichi padri.

È l’eterno concetto del νόστος, desiderio del ritorno ammantato di malinconia, che attanaglia sempre coloro che per motivi di lavoro hanno lasciate le loro care terre e i ricordi.

Ne consegue che le amministrazioni comunali si sono accorte che lo spopolamento della montagna non va assolutamente bene a motivo del quale fanno proclami e programmi politici – anche convegni – per cercare la soluzione di far ritornare in montagna le persone ad abitarci laddove per anni è stato fatto il contrario.

Ora, se da una parte la Valle Umbria Sud è stata massacrata da una cementificazione selvaggia, dall’altra in montagna – complici i terremoti – le nostre frazioni da una parte sono state lasciate morire, ma dall’altra malamente recuperate dal punto di vista della ricostruzione con interventi che hanno snaturato le case plastificandole e con infissi e tinteggiature mortificanti.

E le amministrazioni comunali si sono lavate la coscienza dal momento che poi non hanno fatto e non fanno più nulla.

Molte strade non sono asfaltate e con buche sul sedime stradale che mettono – alla lunga – a dura prova le auto di chi le percorre in estate mentre in inverno, se nevica, si entra direttamente nel girone dantesco dei dannati.

Questo perché le amministrazioni ritengono non conveniente andare a liberare dalla neve una famiglia di tre persone in culonia facendo una analisi dei costi con il risultato che il privato deve arrangiarsi e trasformando la via pubblica in una sostanziale proprietà privata demandata alla gestione del tratto che interessa tra mille imprecazioni degli abitanti della frazione isolata.

Non parliamo poi dei collegamenti pubblici che sfiorano il ridicolo – fatta salva l’eccezione Rasiglia per meri motivi turistici – laddove è impensabile un collegamento fatto ad hoc tanto che spesso o si rinuncia o si mette meno tempo ad andare a piedi.

Gli alimentari diventano avamposti di socialità insieme al bar se ancora resistono a gestire le spese a fronte degli incassi.

Ma quello che interessa è il sistema sanitario che diventa inesistente e quindi guai ad ammalarsi in dette frazioni e spiego il perché.

Le farmacie sono rarissime e spesso diventano il punto di riferimento di questi anziani nella consulenza in mancanza di una sanità medica di territorio che brilla per la sua assenza dal momento che le guardie mediche che si trovano costrette – dietro minaccia di una denuncia – ad andare a trovare un anziano in una frazione lontana e a 900 metri di quota, si incazza e auspica l’abbandono della casa natia perché è più comodo (per lui) e svilendo il sistema sanitario stesso, oltre che la professione medica.

Quindi diventa un lusso abominevole ammalarsi e si invoca non tanto la Madonna per avere aiuto, ma un parente affinché metta rimedio con enormi sacrifici alle carenze gestionali di un territorio dal punto di vista sanitario in considerazione che, in detto sistema, si deve ottimizzare il risparmio.

Ne consegue che gli anziani, ancorché forgiati da intemperie e bestemmie, valutano sempre più di andare a vivere in posti dove la sanità è più accessibile come le strade, perché è oltre modo pacifico che con l’avanzare inesorabile degli acciacchi ,scatti l’istinto di conservazione a costo di rinnegare le radici e la propria tradizione, trasferendosi dove la sanità è garantita senza patemi d’animo.

Per cui i proclami politici di tutte le amministrazioni diventano una barzelletta perché parlano di rilancio dell’economia montana senza pensare minimamente al potenziamento dei servizi e delle strade e consce che prendono in giro quegli sventurati che resistono in quota ma non alla fatica di vivere là.

“I Monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi” affermava Goethe.

Non ci sono più maestri, ma solo qualche pastore maremmano guardiano del territorio che ha negli occhi il ricordo di antichi fasti quando controllava le pecore.

Una vergogna italiana.

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