Un classico all’italiana: muore un personaggio conosciuto che sino a due giorni prima non se lo filava più nessuno e alla morte, tutti – i soliti radical chic – si stracciano le vesti manco fosse morto nuovamente Aristotele.
Morto lui morto il auo pensiero debole che tutti lo citano e nessuno sa che cosa significhi esattamente se non – in soldoni – la metamorfosi in peggio del nichilismo caro a Nietzsche.
Ora, non certo mi vado ad avventurare nella analisi di questo filosofo perché non ne ho le competenze e per una mia naturale diffidenza verso questi personaggi ammantati di marxismo a cui fa seguito la mia naturale indole di trovare più saggezza in un pecoraro del Sellanese, ma certo è che ogni volta che muore qualcuno di sinistra si entra dalla porta principale del paradiso dei santi e dei beati.
Sono conscio che in vita mia ho sempre trovato un meraviglioso collegamento tra filosofia e psicologia perché quest’ultima – a mio modesto avviso – è figlia della prima quando entra nella psiche per cercare di capire gli ineffabili meccanismi di vita su cui tutti si sono cimentati e tutti ne sono usciti sconfitti.
Non per nulla c’è sempre stato un po’ di casino.
Dapprima c’era la grande filosofia greca con i suoi formidabili alfieri e poi è accaduto l’imprevisto: la nascita di Cristo e il sorgere di una nuova filosofia tramutata in religione innovativa fatta di perdono e misericordia a vari livelli e secondo la bisogna e tutti, dopo la codificazione dei quattro Vangeli e gli Atti degli Apostoli, si sono trovati spiazzati a dover coniugare la parola di un Aristotele con quella di Cristo e fallendo il più delle volte.
I più temerari hanno cercato poi di trovare una interpretazione aristotelica o neoplatonica nel pensiero di Karl Marx, ma errando di grosso, perché il barbuto illusionista elaborava teorie economiche e sociali e non aveva – secondo me – la brutale e pragmatica spiritualità di Gramsci.
Ma purtroppo in Italia si hanno due gravi difetti: la memoria corta e il leggere poco, a meno che si tratti di questioni pruriginose o, ancor meglio, di persone fluide dimenticando i drammi che vivono queste ultime.
La cultura editoriale è in mano alla sinistra, più chic, più ricca economicamente, più lettrice, più corretta, più di tutto e denotando che la questione morale sollevata da Enrico Berlinguer (pace all’anima sua che si rivolta nella tomba mentre la figlia Bianca si rivolta in Mediaset) è stata subito sepolta perché noantri non abbiamo voglia di prendere atto che spesso siamo coglioni incoerenti, soprattutto da parte di una certa sinistra che parla di lotte operaie andando in giro in Mercedes o bevendo Sassicaia del 2013 (che costa un terzo di uno stipendio di un operaio).
E questo è il dramma.
Se la Meloni si professa di destra ed è invece convinta atlantista, i suoi giovanili bracci tesi sfociano nel ridicolo folclore storico mentre, dall’altra, i sinistri che portano Liliana Segre in un palmo di mano affinché non ci sia più Shoah e nazi fascismo (la Segre aveva il marito missino, ma è un dettaglio trascurabile), dimenticano il feroce antisemitismo di Vattimo e il suo augurio che l’Iran si dotasse di bomba atomica in danno di Israele.
Ne consegue un dato allarmante che adesso vi spiego con una considerazione.
Accade spesso nella nostra società governata non tanto dal pensiero debole, ma dal debole pensiero nel senso che non si ragiona sulle cose, che si leggano affermazioni orribili da parte di tanti personaggi che se non sono di sinistra sono direttamente loschi figuri degni di Piazzale Loreto mentre se di sinistra si perdona tutto.
L’antisemitismo di Vattimo è stato di fatto tollerato e perdonato perché il filosofo si professava marxista con punte di analisi che – unito all’antisemitismo di cui stiamo parlando – rasentavano una becera imitazione del nazionalsocialismo.
Qualcuno, a questa mia affermazione, ha detto che non era possibile in quanto gay di sinistra (quindi un genio a prescindere) dimenticando che le SS naziste tra loro avevano rapporti assai torbidi e depravati.
Mi viene in mente, a proposito di antisemitismo, Julius Evola, ostracizzato oltre il dovuto da parte di tanti anche a causa del suo razzismo spirituale, in quanto riconosceva nelle religioni tibetane una supremazia ideale a scapito delle religioni abramitiche in funzione della ricerca dello spirito assoluto.
Ma era Evola, non Vattimo e per questo massacrato e segno inequivocabile di una malafede di fondo non tanto a tutela di una certa intellighenzia politicamente corretta, quanto per carenza di lettura e analisi asettica delle varie affermazioni di entrambi che lascia perplessi.
Avere infatti una etichetta di marxismo diventa un green pass che permette di dire stronzate incredibili ed essere perdonati perché non si è valutato il concetto orribile, ma chi lo ha detto.
Aveva ragione Flaiano il lungimirante “Io non sono comunista perché non me lo posso permettere”.