Le quattro settimane antecedenti il Santo Natale sono le domeniche dell’Avvento che significa arrivo/venuta, in questo caso del Redentore.
In linea astratta sono le domeniche di meditazione per eccellenza quando in realtà sono dedicate agli acquisti di Natale nel peggiore dei casi o agli addobbi natalizi nei migliori.
Altri preparano cappelletti in casa o la galantina in un perfetto mix di ansia e schiamazzi sul come si debbano chiudere i cappelletti stessi o aggiungere noce moscata al ripieno.
Forse è l’unico momento (quello dei cappelletti) in cui anche l’uomo umbro si sveste dei suoi panni di macho e assume quello di micio per aiutare le donne di casa a farli, non tanto per spirito di dedizione verso le donne stesse che si fanno un mazzo tanto, quanto per l’implicita necessità di consigliare al meglio la chiusura o il dosaggio della noce moscata citata e finendo il momento di festa in una litigata.
La disquisizioni sui nostri cappelletti sono infinite e sui social è la solita gara a chi li chiude meglio e chi ne fa di più con punte di utenti social che affermano la produzione di 50.000 cappelletti e l’utente dopo 50.001 perché l’importante è battere l’altro per provocargli invidia.
Rarissimi i casi che si parli di ripieno e del dosaggio ora del maiale ora del vitello e soprattutto quale parte del vitello.
E il brodo, che le vere maestre del nostro appennino lo ritengono il rimedio di tutte le stagioni del cibo, diventa una espressione di un afflato culinario mistico e votato al bene della famiglia e diventando le stesse guru dei cappelletti vivendo un momento di gloria che svanisce il 27 dicembre per ritornare all’oblio casalingo.
In sostanza, al di là della perdita del valore del Natale dal punto di vista mistico, il mese di dicembre è caratterizzato da due aspetti e cioè chi vede tale festa come il ritorno alla fanciullezza con uno spirito del miglior Pascoli e lo stupore dei regali e altri che passerebbero volentieri al 10 gennaio saltando le feste, segno inequivocabile che i loro Natali – da bambini – non sono stati il top.
Su tutto le persone che non credono alla nascita del Redentore, ma festeggiano lo stesso tale festa con una euforia che non vogliono ammettere per non affrontare intimamente il grande mistero e prendere atto che comunque il corso della storia è cambiato anche per gli atei.
Rene Guenon affermava, in un suo bellissimo saggio dal titolo L’esoterismo cristiano, che agli albori il Cristianesimo era per soli iniziati a tale disciplina mistica fatta di simboli e segnali che poi si sono rivelati, millenni dopo, totem del consumismo e non della riflessione.
Questo perché ogni religione è fatta di segnali, di simboli appunto, di molte e granitiche contraddizioni che culminano in superstizioni di origine rurale e che rimangono patrimonio della identità culturale italiana come fare i cappelletti o la galantina.
L’euforia pre natalizia non è capita da tanti perché l’eccessività dell’iper liberismo economico sta ammazzando ogni aspetto mistico che dovrebbe differenziarci dall’animale, ma tant’è.
Ne consegue che anche le domeniche dell’avvento, tolti i cappelletti la galantina e gli addobbi improponibili che rasentano il folclore, hanno perso il significato iniziatico verso il grande traguardo della salvezza (da cosa non l’ho ancora capito).
In realtà nessuno di noi ha in animo di concentrarsi sugli aspetti spirituali di una data così importante perché la presa d’atto di un essere divino che gestisce il corso della vita di ognuno di noi crea una inspiegabile ansia evolutiva verso l’insicurezza e – per i preti – verso il peccato della disubbidienza a Dio.
Con il risultato che se si analizzano al meglio i vari passaggi mistici dettati dalle Sacre Scritture ci si ritrova in un limbo fatto di domande che possono avere la risposta solo ed esclusivamente con la nostra morte e la speranza che non ci abbiano preso in giro in merito alla vita eterna.
Perché, si badi bene, il grande mistero è questo: se l’aldilà esiste.
Ma spurgato il Natale da questi sentimenti fatti di dubbi e ombre, rimane sempre una parola rivoluzionaria e di frattura rispetto a quanto vigente duemila anni fa che si sintetizza con una parola sola: la misericordia.
Ecco, il Natale dovrebbe essere lo spunto di una riflessione laica sulla grande inutilità della vita se non proiettata verso la speranza di un’anima eterna dal momento che risulta poco digeribile la considerazione – rimasta senza conseguenze nelle risposte – sui motivi per cui si nasce con una data di scadenza.
A questo dilemma l’uomo ha cercato di dare risposte fugaci, ma non andando a riflettere che compito di ogni persona nella sua vita è di viverla al meglio e senza prevaricazioni di sorta, ma trascorrendo i giorni in una incessante dicotomia di noia e dolori come affermava Schopenhauer.
Ma si è sulla via del non ritorno a causa di un consumismo apocalittico che comporta che gli scaffali dei supermercati siano pieni di panettoni e pandori già dai primi di novembre e segno inequivocabile che le successive domeniche dell’Avvento non siano tarate sulla meditazione, ma sul consumo di beni inutili che fanno ingrassare.
Ne consegue che i pochi illuminati che ambiscono alla meditazione a mezzo della preghiera siano considerate persone strane, segno che la nascita del Redentore è stata inutile, ma che risulta salvifica per la logica del profitto economico.
Charles Dickens nel suo irraggiungibile libro Canto di Natale, scritto in un periodo di grandi sconvolgimenti sociali in Inghilterra sulla scia delle lotte del movimento operaio, fa dire all’avido Scrooge: Onorerò il Natale nel mio cuore e cercherò di tenerlo tutto l’anno.
La carenza di riflessione o la riflessione sbagliata comporterà – nel sistema attuale capitalistico – che avremo i panettoni e i pandori ad agosto perché amare Dio (uno qualsiasi) è prerogativa di pochi eletti.