Un libro su Maradona. In molti potrebbero dire (e diranno): Un altro? C’era bisogno? Ebbene sì. Il volume di Enzo Beretta, “Il re degli ultimi: I sette anni meravigliosi e folli di Maradona a Napoli” di Ultra edizioni con la prefazione di Fabrizio Roncone, è diverso perché fornisce un ritratto del campione argentino diverso, sbarcato nella città del golfo con una missione: “Rendere felici gli ultimi, fare vincere i perdenti, dimostrare che l’impossibile è a portata di mano. Due scudetti, una Coppa Uefa e tanti gol spettacolari, con giocate da brivido.
Come nasce il Re degli ultimi?
“È un omaggio al più grande calciatore di tutti i tempi. Secondo me molto più forte di Pelé. Il Re degli ultimi è il mio primo libro sportivo: avevo già letto tanto di Maradona, non avevo neanche otto anni quando nell’aprile 1991 lasciò l’Italia, ma pur essendo un tifoso della Roma orgogliosamente abbonato in Curva Sud mi ha sempre affascinato il carisma del personaggio Maradona, la sua storia di povertà, il riscatto sociale di una terra attraverso i suoi dribbling e i suoi gol. Maradona è stato qualcosa che ha unito, che ha tenuto insieme, che ha vinto con i più deboli e per gli ultimi. Continuo a studiare il fenomeno Maradona e da qualche tempo mi sono messo in testa il bellissimo capriccio di collezionare libri che parlano solo di lui, non del Napoli o dell’Argentina, di Maradona e basta: ne ho 150, più o meno, quasi tutti in italiano”.
“Il Re degli ultimi”. Perché questo titolo?
“Come poteva la città più povera d’Italia, forse una delle più povere d’Europa, permettersi il giocatore più costoso del mondo? Quando Diego arriva in Italia dal Barcellona, nell’estate 1984, vittima di un gravissimo infortunio e di altrettanti gravi episodi di razzismo, la Napoli delle guerre di camorra, dei morti di eroina, dei terremotati e dei disoccupati ha urgenza di salvarsi. Diego Armando Maradona è il desiderio anfetaminico di riscatto. Le sue prodezze rendono felici anche i reietti e gli emarginati. Nella vita va tutto male? Beh, in compenso la domenica c’è Maradona, il 10 che gioca per tutti. Il Pibe è stato la speranza di chi non aveva speranza. Credere nel mito appartiene alla cultura del Sud incline ad aggrapparsi e ad affidarsi ciecamente: con Santo Diego è andata così”.
Che ritratto emerge di Maradona?
“Il ritratto migliore. Il bello. I gol straordinari. Il sorriso felice di un ragazzo bellissimo. Nel mio libro non ci sono i capelli ossigenati, Diego grasso, l’efedrina, il tatuaggio di Che Guevara, Cuba, l’eredità contesa. Raccontando il settennato di Maradona in Italia sarebbe stato ipocrita omettere le cattive frequentazioni e le notti balorde: ci sono, ma senza particolare enfasi. Nell’ultima pagina Diego, appena risultato positivo all’antidoping, monta sull’aereo che lo riporta in Argentina e il finale lo lascio scrivere ai lettori. Nel mio libro, però, i veri protagonisti sono gli ‘ultimi’, Napoli, con tutti i suoi difetti e i suoi eccessi. Una torcida meravigliosa di inseguimenti coi motorini, di ragazzini arrampicati sugli alberi davanti alla villetta di via Scipione Capece 3/1 per spiarlo, di flash e telecamere sempre accese, di persone che svengono quando lo incontrano oppure minacciano di non lavarsi più le mani quando lo toccano, di tifosi colpiti da infarto quando assistono a quei miracoli col pallone che solo lui sapeva fare”.
Chi era Diego Maradona per le persone?
“Diego era entrato dentro molte case dei tifosi prima ancora di mettere piede a Napoli ma in breve è riuscito in qualcosa di ancora più difficile: entrare nelle loro stanze da letto. Dopo la punizione divina alla Juve di Tacconi sulle testiere dei letti le Madonne, quando non vengono rimpiazzate, sono accostate all’immagine di Maradona che spunta prepotente nelle edicole votive della città. Capita che una parte del sangue prelevato in ospedale finisca nella chiesa di San Gennaro per le preghiere dei fedeli. Difficile vivere così. In questo libro, dicevamo, la gente è dappertutto, in ogni capitolo. L’alleanza col popolo mette Diego al centro della terra, l’amore non ha regole. Per tanti lui è un figlio, un padre, uno di casa, il fratello di ogni napoletano, il fidanzato di ogni ragazza. Ci sono i palloni autografati, il divano di casa regalato a un poveraccio, i battesimi, i matrimoni, le bancarelle con le musicassette pirata firmate Mixed by Erry a 4.000 lire, le partite di beneficenza, le visite notturne in gran segreto negli ospedali e negli orfanotrofi. Ho voluto parlare con chi è stato vicino al Pibe: il preparatore atletico argentino Fernando Signorini, col quale ci sentivamo di notte per il fuso orario, l’avvocato storico Vincenzo Siniscalchi, la governante di casa Maradona, Lucia Rispoli, il primo allenatore Rino Marchesi. All’inizio ero disincantato, ben presto mi sono dovuto ricredere. E così ho approfondito quali numeri venivano giocati al lotto in Campania e quanti neonati sono stati registrati all’anagrafe del Comune di Napoli con il nome di Diego, Diego Armando e Diego Armando Maradona. Parlo del sacrificio di chi inscena scioperi della fame quando Maradona sta per essere venduto, ma racconto anche la festa con gli scugnizzi abbarbicati sui semafori o saltellanti sui tettucci degli autobus mentre una città intera ha appena vinto e ora cammina vicina, senza più distinzioni politiche e di censo. Maradona ha buttato giù i muri mettendo d’accordo tutti: con lui si pensano solo cose belle. Durante la festa del primo scudetto zompettano anche quelli ai quali del calcio non è mai importato nulla: donne di mezz’età, i ‘femminielli’ dei Quartieri Spagnoli, ’e piccerille, le vecchiette azzardano passi di samba, i falsi invalidi scattano ritti in piedi sulle carrozzelle, i malati si ritrovano nel cortile degli ospedali a festeggiare”.
Cosa ha significato Diego per Napoli e cosa ha significato Napoli per lui?
“Qualcuno, al mondo, all’epoca non sapeva che faccia avesse il Presidente degli Stati uniti d’America, ma tutti conoscevano Maradona. Le figurine con il suo volto venivano stampate in tutto il mondo. Una condizione che lo poneva al di sopra di tutto. A 15 anni Diego è un calciatore professionista, titolo di studio seconda media; ha portato via dalla favela di Villa Fiorito la famiglia, aveva soldi, macchine, fama, femmine. Tutto gli era consentito. Napoli gli ha dato tutto: per lui a un certo punto era diventato troppo. Credo però che solo in una città inquieta e irrequieta come Napoli si è potuto esprimere e affermare il suo genio, fino a diventare leggenda. Maradona è stato molto più che un calciatore, la favola di Diego non si ripeterà mai più da nessun altra parte. In cuor mio spero si possa avverare quanto scrive il mio amico Fabrizio Roncone nella prefazione: non so dove sia Diego adesso, ma ho la speranza che gli venga recapitata una copia del mio libro ‘Il Re degli ultimi’”.