Per motivi professionali che poco interessano al lettore, sono stato in Sicilia per cinque meravigliosi giorni e più precisamente in quel di Palermo e zone limitrofe.
Mancavo da tanti anni dall’isola e sinceramente, una volta atterrato a Palermo all’aeroporto Falcone- Borsellino che ha un nome che evoca la storia recente, mi sono subito sentito un cretino ad essere mancato per tanti anni.
Non voglio raccontarvi le bellezze di quella meravigliosa terra perché non sono in grado e perché ci sono stati tantissimi personaggi che hanno dipinto al meglio la Sicilia con tutte le contraddizioni possibili immanginabili, ma voglio raccontarvi in cosa consiste la socialità nel sud e soprattutto in Sicilia.
Ho sempre avuto un debole per la gente del sud, vuoi per i diversi paesaggi, vuoi per il sole, il caldo, le cicale e quel sentimento in cui il tempo sembra scorrere più lentamente ma certo è che ogni volta che scendo sotto Napoli il cuore si gonfia di amore verso terre ora martoriate da tanti fattori che hanno plasmato il carattere dell’uomo del Sud nella compiaciuta attesa del nulla come affermava Sciascia.
Una frase che racchiude al meglio lo spirito dei siciliani quasi fossero dei novelli don Chisciotte di Cervantes o il tenente Drogo ne il Deserto dei Tartari di Buzzati laddove l’attesa del nulla, se non la bellezza struggente del mare e dei fichi d’India, la fanno da padrone.
In questa sorta di nichilismo primordiale che si sovrappone alle tradizioni cattoliche, più temute che rispettate in un fatalismo pagano duro a morire, il siciliano rimane diffidente verso chi scende dal nord anche se io sono umbro che viene visto come novello garibaldino che porta però denaro quale turista mordi e fuggi ma di cui non ce ne si approfitta.
Ma una volta scardinata, con qualche difficoltà, questa iniziale diffidenza, ci si accorge che i siciliani sono passionali e ti fanno sentire a casa propria suscitando in noi il legittimo sospetto di aver avuto – in passato – un avo arabo normanno.
Affinità che si manifesta soprattutto a tavola, dove il fegato e lo stomaco assurgono all’olimpo del martirio culinario in una perenne battaglia tra arancine, caponate in mille modi e cannoli con mezzo chilo di ricotta che sembra seta al palato anche dei più distratti.
La socialità quindi viene fuori prepotentemente e se si fa (in fondo) l’errore di entrare in confidenza con un siciliano, non se ne esce più fuori e si torna a casa con l’acquisto di un parente recuperato dopo anni di oblio.
Il punto nodale della socialità è il barbiere.
Avevo necessità di radermi la barba perché in aereo non si può portare nulla e su Ryanair anche un fazzoletto lo paghi un mutuo a parte.
Così a Bagheria mi sono fermato in un barbiere di nome Agostino a farmi coccolare il viso e spendendo il nulla più volte citato.
Il negozio del barbiere è il punto nevralgico di una comunità nel sud soprattutto in Sicilia, un luogo in cui si vanno a trovare gli amici mentre si fanno radere quasi ogni mattina perché hanno più tempo rispetto ad un milanese in cui il tempo è volgare denaro.
Sostituisce egregiamente il bar-alimentari dei nostri appennini, ma con meno bestemmie .
È il luogo magico per eccellenza frequentato da soli uomini in una sorta di maldestra imitazione islamica dove ci sono luoghi inaccessibili alle donne e segno inequivocabile che su alcune cose i siciliani sono rimasti alla seconda guerra punica ma con la laconica differenza che le siciliane pettorute non sono coperte per motivi religiosi a meno che stiano partecipando a qualche processione.
Si parla dei massimi sistemi, niente di donne e sesso,molto di sport e di politica tra un sorriso e un sollazzo mentre si legge il Giornale di Sicilia e si viene interrotti solo perché qualche altro avventore porta il caffè per tutti anche alle 19 di sera.
Così chiacchierando del più e del meno, farsi radere diventa una piacevole odissea sensoriale per il tempo impiegato a radere il minchione di turno mentre gli altri seduti dietro continuano nel loro allegro vociare con tono alti per dimostrare che si è più masculo dell’interlocutore che si ha di fronte.
Nel film che riguardano la mafia come il Padrino o gli Intoccabili, c’è sempre un riferimento al barbiere.
In quest’ultimo film Robert De Niro (Al Capone) discetta sui massimi sistemi con i suoi scudieri mentre si fa radere la barba mentre nei film di mafia le uccisioni avvengono quasi sempre mentre si è dal barbiere.
Ne consegue che si ha contezza che il negozio del barbiere diventa il focolaio ruspante di amicizia e scambio di opinioni al punto che le mogli che vanno a cercare il marito lo trovano sempre lì a scambiare due chiacchiere.
Le notizie paesane diventano quasi la cartina di tornasole di una città con un pettegolezzo che se fosse chirurgico sarebbe da 007, con il risultato che tutti sanno di tutti.
E il barbiere diventa la valvola di sfogo lecita in un mondo che – al Sud- non morirà mai.
Meglio che una seduta dell’analista, costa meno e si esce in ordine.
In Sicilia.