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Riflessioni sul Natale e sul presepe

Lo scorso anno scrissi in questo periodo un articolo sul Natale dal titolo Natale del Redentore per riagganciarmi ad un opera del maestro musicista Lorenzo Perosi.

È passato quindi un anno e si deve svolgere un bilancio di ciò che è stato quest’anno tra progetti falliti e intenzioni rinnovate.

Rimane indubbio che nella storia dell’umanità la nascita di Cristo assurge a cambiamento epocale del modo di pensare del nostro piccolo pianeta perché è stato introdotto un nuovo concetto di socialità che si basa da un lato sulla speranza di Resurrezione, ma dall’altra sul concetto ben più innovativo di misericordia.

Il sopravvenire delle Sacre Scritture ha di fatto rotto quel file ruoge che univa la filosofia pre socratica alla società civile dal punto di vista spirituale e che per me almeno trovò in Parmenide (V secolo a. C.) di Elea, l’attuale Velia sotto Salerno e quindi Magna Grecia, il primo pensatore che distinse la società in due dimensioni: la verità e l’opinione.

Se per Parmenide la verità consisteva in una via iniziatica propria degli dei, l’opinione appartiene al popolo non iniziato con il risultato della fallacità di quest’ultima rispetto alla prima.

Il problema nasce dal concetto di via iniziatica laddove i più sprovveduti, che la agganciano all’esoterismo che sfocia nella massoneria, risultano in malafede proprio per questo maldestro riferimento laddove la via iniziatica alla Verità è un valore che riguarda lo spirito per arrivare al divino e non al grande architetto tanto caro ai grembiulini.

Il viaggio verso il proprio io interiore è stato sempre auspicato da tanti che trovano nella considerazione di Platone che il maggior nemico di noi stessi è il nostro pensiero perché dire che ci facciamo le fantasie mentali per brutto e non risulta politicamente corretto se non addirittura volgare, figuriamoci per me in odore di giornalista pubblicista.

Ma scevra da questa digressione al limite dello scrivibile, ritengo che Platone abbia sempre avuto ragione, ma rimane indubbio che con le Sacre Scritture il baricentro attenzionale si è spostato dal miglioramento dell’io in funzione di una pace interiore al miglioramento dell’io in funzione di arrivare e compiacere a Dio.

E a seguire tutte le altre religioni monoteistiche abramitiche che si somigliano sul punto, segno inequivocabile che da spunto di riflessione si sono trasformate in strumento di controllo psichico per far sentire l’uomo inadeguato al cospetto del Dio di Abramo.

Il galoppare verso l’abisso nel corso dei secoli proprio perché la società si è sempre evoluta in maniera materialistica, ha comportato la perdita del valore iniziatico di ricerca della verità come auspicava Parmenide e a favore dell’opinione del popolo.

Questo si riverbera sullo stato attuale ultra consumistico e iper liberista di origine calvinista laddove la verità consiste in una riflessione mentre l’opinione, riguardo il Natale, è ciò che rimane in superficie della nostra anima e che trova nel Presepe la massima espressione di pacificazione interiore basata sul nulla e trasformando il presepe stesso in un simbolo che ha perso significato se non per mantenere una tradizione che si tramanda di padre in figlio e che assurge a totem di una spiritualità mancata.

Questo perché ritengo che pochi ragionino sulla svolta epocale derivante dalla nascita di Cristo e ritenendosi manlevati da qualsiasi comportamento non consono a se stessi proprio per l’applicazione della Misericordia non tanto verso gli altri come dovrebbe essere, ma verso se stessi in un percorso di auto assoluzione che trova nella psichiatria elementi su cui lavorare.

Il Natale, quindi, come un vistoso flop di intenzioni che sanciscono il decadimento della riflessione nel momento in cui, finite le feste, si smonta il presepe e si ritorna al tran tran quotidiano basato sulla logica del profitto.

Il recupero della spiritualità è per pochi eletti e di altri – ancorché atei- che cercano la loro verità verso se stessi senza che se ne rendano conto perché la velocità di pensiero e di ottimizzare i tempi di produzione sviliscono la riflessione stessa.

Ne consegue che non ci si ferma un attimo e non ci si inginocchia avanti al proprio cuore per cercare quella via dello spirito per migliorare se stessi avanti anche alla società che ne trarrebbe benefici se ognuno riflettesse sulla congruità di alcune azioni che invece risultano non adeguate.

E con Cristo che dalla sua croce – guardando verso noi – che ragiona sul suo fallimento verso l’uomo scuotendo la testa e maledendo il dono del libero arbitrio datoci non avendo considerato l’evolversi della società in senso plutocratico.

Questo perché l’uomo del ventunesimo secolo ha accantonato l’idea del Sacro e della mistica con il risultato che il suo passaggio terreno più o meno importante è sintetizzato dalla consistenza dell’estratto conto, salvo poi pentirsi nel momento in cui si avvicina la data di scadenza terrena e ritrovare in Dio quella sponda alle domande sul perché si deve nascere per poi morire.

Un’ascesi derivante dalla paura della morte che è in tutti noi come era in Cristo al momento della Crocefissione con la frase Padre perché mi hai fatto questo?

Ma se ci si ferma e si contempla il presepio con rinnovare vigore evangelico o con la poetica decadentista del Pascoli con il suo fanciullino, ci si accorge che la via iniziatica per migliorare se stessi diventa il fulcro della santificazione spirituale di noi , ma non per compiacere a Dio che tanto quale essere supremo applica ogni giorno la sua misericordia, quanto per giustificare l’esistenza terrena.

Non per nulla Sant’Agostino ebbe a affermare: “E gli uomini se ne vanno a contemplare le vette delle montagne, e i flutti vasti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri, e passano accanto a se stessi senza meravigliarsi”.

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