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lunedì, Aprile 14, 2025

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L’attesa della Pasqua tra sacro e profano

Pensando che vi sareste preoccupati della eventuale circostanza che non avrei detto la mia sulla settimana santa, ho pensato al meglio di scrivere alcune considerazioni ricollegandomi a quanto già scritto lo scorso anno.

In ognuno di noi alberga sicuramente un spiritualità che viene spesso compressa se non soppressa dal vortice di una vita accelerata perché il sistema capitalistico dei consumi, a cui fa da contraltare gli stipendi bloccati dalla seconda guerra punica, che non permette rallentamenti di sorta alla produzione a scapito della riflessione.

La penalizzazione dello spirito comporta che non cresciamo o – quanto meno – non ci facciamo gli anticorpi se poi, nelle feste comandate religiose, dovessimo trovarci avanti a qualcosa di metafisico con cui confrontarci per la riflessione non cercata per carenza di tempo.

Ne consegue che perde valore sia il Natale sia la Pasqua.

Nell’eterno dilemma teologico se sia più importante la nascita di Cristo o la sua resurrezione si è perso oggi il significato escatologico di due date basilari per la fede in un processo di laicizzazione mortificante del proprio io.

A questo si contrappone la fede nell’islam che lascia pochi spazi vitali ai laici e per questo spesso perseguitati se non seguono i precetti del Corano, venendo ostracizzati dal resto della comunità di credenti in tale religione in considerazione che, mentre le nostre Sacre Scritture si basano solo sulla teologia, il Corano è anche un documento politico che culmina nella sharia e il rispetto della sunna, cioè dei precetti del Corano stesso.

Ne consegue – agli occhi di molti – che la fede nell’islam sia più forte rispetto a quella più malleabile de noantri quando in realtà viene imposta.

Le grandi religioni abramitiche, infatti, partono solo da un unico presupposto e poi sono i teologi che la modulano in base al desiderio di controllare le masse.

Ma se per noi cristiani tutto viene tarato sul concetto del peccato, dall’altro nelle altre due, l’islam e l’ebraismo, tutto si riconduce ad una forte introspezione interiore che poi viene modulata non tanto in funzione della ricerca dell’unica verità quanto per modulare anche la vita quotidiana dal punto di vista sociale.

Il libero arbitrio che il buon Dio ci ha donato se da una parte ci ha dato la possibilità di svincolarci dai precetti evangelici, dall’altra ci ha condannati all’oblio spirituale salvo quei pochi santi che oggi verrebbero additati come matti da chi non capisce o non vuole capire.

Se quindi al libero arbitrio ci si aggiunge il sistema capitalistico che ha bisogno di creare persone insoddisfatte e desiderose di acquisti inutili, come sul punto tuonava Pier Paolo Pasolini, si capisce bene che si è evangelicamente sull’orlo del baratro.

Ma anche questa è una questione relativa dal momento che i non credenti o gli atei – vedete voi – vedono in questa spersonalizzazione del mistero divino come un punto di arrivo della loro libertà interiore.

Salvo poi, con estrema incoerenza, festeggiare il Natale o la Pasqua che dovrebbero avversare perché imposta da un sistema in cui non credono e credendo amaramente nella società dei consumi.

Questo perché nella società di oggi sono rare le persone che dedicano il loro tempo alla meditazione consistente nella preghiera per carenza di tempo e non ricordandosi nemmeno il Padre nostro, perso nell’oblìo della nostra infanzia.

Ne consegue quindi che si festeggia anche la santa Pasqua sull’orlo delle tavole imbandite e delle gite fuori porta e partecipando, a mo’ distrazione e non di devozione, alle numerose processioni del Venerdì Santo pubblicizzate al pari di un evento nei centri commerciali.

In questo processo di spettacolarizzazione di ogni cosa per riaffermare una presenza maldestra nella società si erge sui social, a totem della santa Pasqua,la pizza al formaggio e i salami di vecchi contadini al pari dei cappelletti fatti in casa per il Natale in un continuo antagonismo degli utenti dei social stessi che sfocia poi, il giorno di Pasqua , in una maldestra gara di rutti controllati.

Tutto confluisce in una burinaggine mortificante per il cittadino che si atteggia a custode delle tradizioni rurali solo per l’assemblaggio delle pizze di Pasqua e tralasciando il vero motivo per cui si dovrebbe festeggiare la Resurrezione.

Alceo poeta greco antico, vissuto tra il VII e il VI secolo a. C., è sempre stato considerato unitamente a Saffo uno dei maggiori poeti ellenistici, ma era anche un pragmatico sociologo dal momento che vedeva nella città il concetto del collettivo in funzione della comunità e nelle campagne l’essenza dell’individuo in funzione del raccolto, il suo.

Individuo che perde identità e assumendo un ruolo di numero statistico nel momento dell’abbandono delle campagne quando si trasferisce in città.

Il problema è che, trasferendosi, non si fa portavoce delle tradizioni culturali rurali che sono intrise anche di fede rozza, ma sincera e quindi andando a perdere quell’identità fatta di saggezza e di riti ancestrali come le processioni.

Non sono come novelli Enea che portano sulle spalle Anchise, simbolo del sapere antico.

La salvaguardia quindi del mondo dei credenti è nell’auspicata non scomparsa del mondo rurale appenninico dove i tempi sono scanditi dal tempo e dagli animali da custodire a motivo del quale sant’Antonio Abate è assurto a salvaguardia del bestiame e spesso anche dei raccolti.

E le feste religiose, nelle nostre frazioni appenniniche, hanno ancora un valore forte e rimanendo baluardi di una fede che non vuole morire nonostante tanti cerchino di sopprimerla per farne degli omologati alienati.

Riccardo Bacchelli (1891-1985) nel suo splendido racconto Il mulino del Po, ebbe a cogliere quella sinergia contadina tra il lavoro dell’uomo e le stagioni arrivando ad affermare che l’agricoltura è l’arte di saper aspettare.

Forse è per questo, il tempo dell’attesa, che il contadino o l’allevatore aspetta con trepidazione la Pasqua perché di fatto rimane l’unico custode del tempo.

Anche dello spirito.

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