Claudia Agostini, insegnante d’inglese, viene trovata senza vita in via Lungara a Roma il 13 ottobre 2003, il suo assassino non è stato mai trovato.
Il 13 ottobre 2003 in via Lungara, nel quartiere romano di Trastevere, vicino alla propria abitazione e a un centinaio di metri dal carcere di Regina Coeli, viene trovato tra due macchine, verso le 8 di mattina, da alcuni passanti un cadavere: è quello di Claudia Agostini.
Vengono immediatamente chiamate le forze dell’ordine e arriva sulla scena del delitto anche il fidanzato e convivente della defunta, Leonardo Bellato.
Nel mentre arriva anche l’ambulanza, il personale del 118 prova a rianimare la donna, ma non c’è più nulla da fare.
Con l’arrivo degli investigatori si iniziano a fare i primi rilievi sul cadavere e della zona del crimine.
Il corpo era posizionato tra due macchine in sosta, una di colore rosso, l’altra di colore grigio, in posizione prona, con la testa rivolta verso il muraglione, il volto orientato verso l’alto e le mani giunte sullo stomaco, con indosso una tuta bianca e le scarpe da ginnastica.
Dopo i rilievi gli inquirenti ascoltano ciò che ha da dire il fidanzato, il quale dichiara di essersi svegliato poco prima che il corpo fosse rinvenuto, di essersi accorto che la compagna non si trova in casa, ma dice di non essersi preoccupato perché pensava che fosse uscita per andare a comprare le sigarette o un cartone di latte, come era solita fare la mattina.
Dopo il ritrovamento di un pacchetto di sigarette e dell’accendino sulla balaustra del balcone della case della coppia, il fidanzato avanza una ipotesi sulla morte della compagna, ovvero la caduta dal balcone, voluta oppure causata da un malore.
Ipotesi che, però, viene subito scartata in quanto gli investigatori seguono l’idea del pirata della strada che avrebbe investito la donna, anche se le prove, la mancanza di segni di frenata e degli strappi sui vestiti della morta, e l’autopsia non sosterranno questa ipotesi.
La mancanza di una pista da seguire porta, così, il magistrato a chiedere l’archiviazione del caso nel 2004, suscitando l’ira dei parenti della vittima.
Inizia una lunga lotta in tribunale per ottenere la riapertura del caso, cosa che avviene nel 2006, con la riesumazione del cadavere, una seconda autopsia e la scoperta-svolta del giallo, ovvero la frattura dell’osso ioide, causato da strangolamento a mani nude e con uno strumento, un laccio forse o un cavo.
Nel 2010 il caso viene ufficialmente riaperto e vengono a galla alcuni elementi che non erano stati presi in considerazione nella precedente investigazione.
Ci si concentra sulla figura del fidanzato, arrivando a scoprire che la coppia, la sera prima della morte della donna, aveva pesantemente litigato, inoltre si inizia a pensare che le dichiarazioni dell’uomo, pronunciate appena un’ora dopo il ritrovamento del cadavere, e lo stesso rinvenimento delle sigarette e dell’accendino facessero parte di “un’azione di depistaggio delle indagini”, come sostiene il criminologo Carmelo Lavorino, che assisteva la famiglia della vittima.
Alla fine anche questa indagine, però, approderà in un nulla di fatto per mancanza di prove a sostegno dell’ipotesi degli investigatori.