La notte tra il 30 e il 31 ottobre 1975, un’intera famiglia risiedente nel quartiere di Fuorigrotta, a Napoli, viene barbaramente trucidata nel proprio appartamento.
Il nucleo familiare era composto da tre persone e da un cane, nessuno dei quattro sopravvivrà a quella notte.
Domenico Santangelo, dopo una lunga carriera in marina mercantile e 11 anni come amministratore di condominio, aveva iniziato a lavorare come rappresentante e si era trasferito con la seconda moglie, Gemma Cenname di professione ostetrica e con la figlia diciannovenne Angela, impiegata presso l’Inam, in un appartamento nel palazzo situato al civico 78 di via Caravaggio.
Erano una famiglia di estrazione medio borghese, vivevano un’esistenza come tante altre ed erano in buoni rapporti con vicini.
La notte del 30 ottobre, all’incirca alle 22, qualcuno bussa alla porta dei Santangelo, il padrone di casa si reca ad aprire e fa accomodare nel suo studio il visitatore, dando inizio, involontariamente, alla mattanza.
Passa una settimana e il nipote della donna, Domenico Zarrelli e il fidanzato della giovane Angela, sono preoccupati per la strana assenza della famiglia, al ché chiamano la polizia: una pattuglia si reca sul posto, non trovando la Lancia Fulvia di Domenico Santangelo e non ricevendo alcuna risposta alla porta di casa, chiamano i Vigili del Fuoco che forzano la porta, consentendo agli agenti di entrare all’interno dell’abitazione.
I corpi dei due coniugi vengono ritrovati dentro la vasca da bagno con i vestiti intrisi di sangue e sotto di loro, avviluppato in una coperta il cadavere del cane di casa, mentre la figlia viene ritrovata senza vita nella camera da letto.
Nell’abitazione risultano mancanti la pistola dell’uomo e diverse banconote, prelevate dalla borsa della donna.
Gli investigatori ricostruiscono le dinamiche evidenziando come l’assassino fosse una persona conosciuta dalla famiglia, qualcuno di cui si fidavano, avendo così la possibilità di cogliere di sorpresa mentre erano di spalle tutte e tre le vittime, colpite prima alla testa e dopo uccise con un taglio alla gola, per poi soffocare con una coperta il cane.
I sospetti ricadono subito Domenico Zarrelli, nipote della vittima, la quale si era rifiutata di concedere un prestito all’uomo solo qualche giorno prima della morte.
Inizia un lungo iter processuale che vede la condanna dell’uomo all’ergastolo nel 1978 alla fine del processo di primo grado.
Cinque anni dopo viene assolto dalla Corte d’Appello per “insufficienza di prove”, sentenza ribaltata nuovamente dalla Corte di Cassazione.
Nel 1985 la Corte d’assise d’appello lo assolve definitivamente per non aver commesso il fatto e stabilisce un risarcimento per “danni materiali e morali” per una somma di un milione e quattrocentomila euro, corrisposti nel 2007.
Nel 2011 una lettera anonima porta la Procura di Napoli a riaprire il caso sulla base di riscontri nei test sul Dna, ma dopo quattro anni viene disposta l’archiviazione del caso, rimanendo irrisolto.