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Il celibato dei preti tra Sacre Scritture, teologia e tempi moderni

Papa Francesco nei giorni scorsi si è detto possibilista a rivalutare il celibato o meno dei Preti e dei Presbiteri in generale e tale affermazione ha lasciato tutti di sasso, sia in senso positivo sia in senso negativo.

Il celibato dei Preti , auspicato dal super misogino e fustigatore san Paolo, fu istituito da papa Siricio nel 385 e confermato dal Sinodo di Roma nel 386.

Concetto ribadito più recentemente dal Concilio Vaticano II.

L’affermazione offre spunti di riflessione sia sociale sia teologica e cercherò di dare il meglio di me sul punto con la granitica certezza che non ci riesco.

Sono un fierissimo cattolico di Santa Romana Chiesa e come tale vivo al peggio le contraddizioni delle Sacre Scritture e il mio vissuto che mi ha portato ad essere indulgente verso me stesso e autoassolvermi senza l’intermediazione di un prete che mi fa da portavoce quando confesso a Dio i miei peccati.

In pratica un atteggiamento luterano in un ottica cattolica per poter continuare – da buon cattolico – a farmi gli affari miei e disapplicare ogni giorno le Sacre Scritture.

Nella mia vita sono sempre stato a contatto con il mondo ecclesiastico, ma grazie a Dio, pur credendo in Cristo non ho avuto la tentazione della deriva neocatecumenale che considero la Jihad de noantri e Pillon il nostro nuovo Califfo.

Perché a ben vedere la Parola serve come veicolo verso la salvezza, ma da cosa non l’ho ancora capito.

Pensate un po’!

Ho conosciuto in vita mia preti incredibili che ho nel cuore e nelle preghiere serali (un po’ affollate e mi passa il sonno), ma ho sempre ammirato la grazia e la praticità di tutti.

Mi sono sempre domandato, sin da quando ero piccino, come non avessero desiderio di una donna accanto e come facessero a placare gli impulsi sessuali avanti ad un bel viso o poderose tette e la risposta me la sono data solo intorno ai miei attuali 60 anni e che dirò dopo.

Una domanda che nell’intimo ci siamo fatti tutti: ma come fanno?

I più malevoli pensano che la carenza di affettività fisica abbia comportato un consacrato a Cristo alla pedofilia mentre per altri – un po’ chiacchierati per le donne – la perdita di credibilità di quando dall’altare parlano del peccato originale che molti lo ritengono la prima trombata tra Adamo ed Eva quando in realtà è la disobbedienza a Dio (dal libro della Genesi).

Sul punto ci sono state varie dispute teologiche che ancora non si sono placate come non si sono placate le dispute sul celibato o meno.

Nella lettera di San Paolo ai Romani c’è scritto Come per un uomo solo il peccato entrò nel mondo e con esso la morte, così la morte si è estesa a tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato.

Un passo importante che contrasta con la visione di sant’Agostino: l’unico titolo di appartenere a Cristo è quello di essere peccatori.

Ne consegue il concetto di redenzione dal peccato e al valore della confessione che rimane un bluff perché non c’è mai un vero pentimento, ma il lavarsi la coscienza per due minuti perché poi si torna come prima.

Capite bene quindi che è stato fatto un po’ di casino sulla questione con il risultato che la volontà di Dio è perennemente manifesta facendoci sentire tutti peccatori a prescindere e massacrati da sensi di colpa.

Dio infatti voleva atto di sottomissione, ma poi ha dato il libero arbitrio che vuol dire poi fa un po’ come ti pare.

Ed è questo il punto della questione: la coniugazione tra fede e libero arbitrio per non scontentare Dio per un verso e non scontentare se stessi dall’altro.

Quindi a rigor di logica e di tutte le scritture, compreso il calendario Frate Indovino, diventa un problema avallare il matrimonio di un prete o un religioso perché si ratificherebbe direttamente il peccato originale, ora visto come disobbedienza ora visto come atto sessuale primigenio.

Il problema semmai è altro.

Al di là che se un prete avesse moglie questa starebbe tutto il giorno a rompergli le scatole perché la Chiesa non è pulita, perché l’omelia fa schifo, l’altare è in disordine e tante altre belle amenità, ritengo che sia drammatica la circostanza che la Chiesa attuale – come già ho scritto in un mio precedente articolo sulla politicizzazione della Chiesa – si stia adeguando alla società e non il contrario, diventando un mero strumento di propaganda di un altro modo di fare politica sociale e nulla più e quindi diventando inutile la presenza della stessa quale pietra d’angolo delle Fede.

Carl Gustav Jung affermava: Come possiamo supporre che un Dio vivente abbia bisogno di una chiesa? Se non può manifestarsi senza una chiesa, la cosa è molto sospetta. Per me, un Dio simile significherebbe dannatamente poco. Vedete, non si tratta di trovare un contenitore: siamo noi il contenitore, siamo noi lo strumento, e se non funzioniamo come tali, non abbiamo spirito.

Cinque righe che dicono tutto e sviliscono il mistero Pietrino.

Ne consegue che tutta questa necessità di dare ai religiosi la possibilità di matrimonio la trovo un po’ azzardata sotto ogni punto di vista perché si svilirebbe la figura del religioso stesso che quindi non compirebbe una missione sulla base della sua libera scelta, quanto trasformarsi in un professionista della Fede e perdendone il valore.

Chi ha la vocazione alla vita consacrata è innamorato solo di Dio e sa al meglio la scelta che ha fatto.

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