Mi sono sempre domandato, non avendo mai ricevuto risposta convincente, se per un credente sia più importante la nascita di Cristo o la sua morte e resurrezione.
È pacifico che senza la nascita non si parlerebbe della Resurrezione, poco ma sicuro.
Il volano della storia umana e il punto di frattura storico è sicuramente la nascita di Cristo e la Parola che annunciava che, a quei tempi, era un tantino innovativa.
Nella storia della Chiesa, secondo me, due sono stati i punti di svolta che hanno segnato la via che è giunta sino a noi: il concilio di Nicea del 325 che pose fine a dottrine eretiche e il concilio di Trento (1545-1563) che confermò la prevalenza dei quattro attuali evangelisti rispetto a quelli apocrifi considerati in odore di eresia.
Interessante la circostanza che il Concilio di Nicea stabilì che la Pasqua era da considerare la festa più importante della Cristianità, ma sancì anche l’inizio di un potere temporale o Cesaropapismo – vedete voi – che si sta prolungando sino ai giorni nostri con la sola differenza che i preti adesso non sono stati elevati alla santità, ma al ruolo mortificante di assistenti sociali.
Acclarato ciò, sulla importanza della Pasqua, cercherò di dare il mio immodesto contributo per offrire uno spunto di riflessione per questo bellissimo giorno sulla scia di due miei precedenti articoli sul Natale e sulla Epifania.
Per molti di noi la Settimana Santa è una sostanziale prospettiva dell’unico momento in cui lo spirito si avvicina al Divino con il Venerdì Santo e la Passione di Cristo, e sentendoci inadeguati al cospetto di Esso durante i tre sacri giorni, con relativi sensi di colpa.
Le nostre campagne umbre sono piene di processioni con i penitenti e regna, al di là della presenza dei turisti mordi e fuggi, il silenzio scandito da litanie dolorose e candele in balia del vento.
E sono molto più sentite del Natale al punto che anche i grandi compositori di musica classica hanno composto note sulla Passione.
Paradossalmente è il momento meno sguaiato delle feste cristiane che si riducono al mercimonio di regali dati e ricevuti.
Con la Pasqua il regalo di Speranza di Resurrezione è ben diverso da ciò che troviamo sotto l’albero o dentro la calza e si ha quel momento di riflessione intimo che sfocia nella meditazione a mezzo del Santo Rosario al fine di riflettere sul perché della propria esistenza, se poi si deve morire.
La risposta innovativa, come dicevo, è che l’uomo nella sua razionalità non ha mai capito ed accettato il perché si debba venire al mondo se poi si deve morire non vivendo in eterno, con la contestuale paura di aver sprecato l’esistenza.
Sul punto risulta incomprensibile agli occhi dell’uomo il sadismo di Dio, al di là dei suoi disegni, che esistano persone che muoiono presto, altre storpie, altre malate croniche, altri che delinquono tanto da far apparire, queste persone sofferenti, con lo stesso sguardo di Cristo prima di spirare, simulandone il dolore eterno.
Un ergastolo del dolore non modificabile dove la morte risulta la salvezza solo se c’è resurrezione come uomo nuovo.
Il grande Indro Montanelli, ateo sino al midollo, si vocifera che ebbe ad affermare: quando morrò se esiste Dio e il Paradiso e andrò al suo cospetto, non sarò io a dare spiegazioni a Lui, ma Lui a me.
Frase di una profondità teologica disarmante che solo i veri atei possono dire e pensare perché spiritualmente mai rassegnati al flop che Dio non esiste o è morto, come affermava Nietzsche.
Quindi, sulla scia delle Sacre Scritture, si è pensato bene a dare all’uomo un alibi alla sua esistenza che è il miraggio della Resurrezione proprio come Cristo.
Perché senza tale miraggio non avrebbe senso nulla e si diventerebbe solo dei pendolari della terra che ci ha generato, ritornando infine ad essa.
L’uomo oggi ha perso quello smalto di riflessione e segue altri totem moderni da adorare – pur dichiarandosi credenti – ma sfociando il tutto in un neopaganesimo capitalistico che mortifica l’essenza dello Spirito stesso.
Nel venerdì Santo c’è il meglio del degrado umano: il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro e la decisione – pre compilata – di Dio di sacrificare Suo Figlio.
Tanta roba per essere discorsivi, ma ciò fa capire che l’animo umano nelle sue articolazioni è sempre rimasto lo stesso, dal momento che se si tradisce perfino Cristo e lo si rinnega, figuriamoci noi con le compagne /con i compagni/ con gli amici, con la sola differenza che tutta ‘sta certezza di resurrezione è un po’ labile.
Quello che e’: un mistero della Fede.
Non per nulla sembra che ci sia una analogia tra la religione Cristiana e quella Ebraica a proposito di un ritorno di un nuovo Messia, al punto che se ne parla anche nell’Apocalisse, e tanto per far capire che tutte le religioni monoteiste puntano sempre su tre punti cardini Paradiso, Resurrezione e Messia.
Nell’Islam il profeta ascende al cielo.
Per cui nulla di nuovo.
Nella messa il celebrante afferma: Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione.
Un dubbio devastante che sembra buttato a caso in pasto ai fedeli che si salvano con il mistero della fede da me scritto.
Nell’incertezza quindi si deve valutare la resurrezione sotto altra angolatura: il rinascere ogni giorno migliori e pieni di misericordia.
Se poi ci sarà la resurrezione vera, cosa che spero di scoprire il più tardi possibile, la fede non sarà più un mistero ma uno svelamento che mortifica l’alibi di una fede vacillante, sfociando tutti nel Divino, perché Dio ci ha dato questo dono e non sono state dette falsità.
Perché mentre il Natale è sinonimo di Misericordia, la Pasqua è sinonimo di Speranza.
E come si dice nelle nostre campagne umbre la speranza è l’ultima a morire, trasformando la nostra esistenza in una perenne liturgia per migliorare noi stessi.