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Scommessa sul calcio

Imperversa sui social e sui quotidiani la nuova faccenda del calcio scommesse nel calcio e sul punto per gli italiani nulla di nuovo.

Chi sa la mia identità (scrivo sotto pseudonimo) sa che il gioco del calcio è lontano anni luce dal mio modo di vedere le cose sia dal punto di vista economico sia fisico avendo giocato al rugby per quasi 17 anni e avendo addosso i segni di tante battaglie dove – spesso – le prendevo di santa ragione.

Ma non è un articolo per mettere in contrapposizione due sport, anche in considerazione della pessima figura fatta dall’Italia del rugby agli ultimi mondiali dove dovevamo essere la squadra rivelazione e invece siamo stati picchiati dagli All Blacks.

È una considerazione su un aspetto del calcio e del sistema statale che a molti sfugge e che trova nella figura di Niccolò Fagioli della Juventus il caso emblematico di cosa io voglia parlare.

Questo giocatore ha 22 anni e per quanto mi riguarda, poco più di un ragazzino, non un uomo formato – anzi- e percependo uno stipendio netto (senza benefit e premi partita) di un milione di euro annui, cioè quello che non guadagna un operaio, un manovale insieme in una vita di stenti.

Sul punto non voglio accodarmi ai soliti noti che dicono che è vergognoso, che il calcio con i suoi stipendi è schifoso, immorale e altre belle amenità dal momento che il calcio oramai è fuori orbita economica e punta di diamante di un concetto calvinista che si vale in base ai soldi che si possiedono e guadagnano e risultando la summa del becero capitalismo che ha svilito lo spirito.

Ma qui il problema è diverso e, a modesto avviso dello scrivente, sino a 25 anni di età questi calciatori che guadagnano un mare di soldi devono avere un amministratore di sostegno perché si rompe l’equilibrio interno.

Sul serio, altrimenti, si sputtanano tutto e non programmano cosa potrebbero fare dopo che smetteranno di faticare sui campi di calcio.

Il giocatore in questione, dalla dichiarazioni rese ai giornali, è affetto da ludopatia e si è indebitato sino al collo temendo perfino per la sua incolumità per le minacce ricevute dalla malavita.

Ora, i più ritengono che Fagioli faccia schifo di suo, altri perché giocatore della Juventus (ci può stare perché io tifo il Torino) e pochi hanno un moto di pietà verso questo ragazzino che si è ritrovato a gestire un fottìo di schei senza essere pronto a gestirli.

In più, cosa non trascurabile, è la patologia della ludopatia che ha, nello stato italiano, il principale criminale della nascita di questa malattia.

È una malattia grave al pari della depressione e spesso sono anche interscambiabili perché chi gioca – spesso – ha bisogno di brividi e miraggi di vincita per uscire dal torpore cosmico di una vita grigia al punto che gioca non per vincere, ma per il gusto di giocare e sentirsi vivo.

Altrimenti non si spiega perché se poi si vince dopo 5 minuti giocano nuovamente (perdendo) tutta la vincita.

Il problema, come detto, nasce dallo Stato: gratta e vinci, Superenalotto e via dicendo che si trovano nei bar con una facilità devastante al punto che, quando vado a prendere un caffè, ho visto personalmente gente che è assistita Caritas perché in due giorni si sono giocati la pensione/stipendio.

La enorme presa in giro di questo stato di cose è che c’è il dipartimento – in ogni ASL – per le tossicodipendenze e la ludopatia con il risultato che lo Stato cerca di aiutarti dopo che ti ha provocato la dannosa malattia.

Una vergogna a spese del contribuente che si spezza la schiena lavorando e non scommettendo.

Fagioli fa parte di questo meccanismo perverso accentuato dalla risorse economiche illimitate a cui si aggiunge probabilmente una solitudine di fondo a doversi gestire e soprattutto a osare sempre di più dal punto di vista economico perché la società edonistica provoca il consumo inutile.

Quindi la sovrapposizione di una scontentezza di fondo e la malattia crea un unicum di disagio, comportando da una parte la gogna mediatica e dall’altra la poca comprensione per questo ragazzo.

E soprattutto giudizi feroci senza un briciolo di umana comprensione dal momento che i nostri figli si comporterebbero nello stesso modo se avessero le medesime risorse economiche perché oramai la società è marcia dentro per questa spasmodica ossessione del profitto che svilisce l’uomo.

Ne consegue che, parafrasando Pasolini, il capitalismo è l’istinto di instillare nel consumatore la necessità di acquistare beni superflui e non sarà certo il marxismo a arginare questa deriva verso cui non c’è ritorno dal momento che l’uomo tra essere mercante o guerriero ha scelto la via più redditizia e meno rischiosa.

Il problema è quando questa politica scellerata viene attuata dallo Stato che comprime le esigenze primarie del cittadino e che trova la sponda in una Chiesa che ha perso lo spunto di riflessione e di preghiera che ha provocato una emorragia di fedeli che vedono in essa un organo politico e non di fede.

Fagioli è il figlio viziato del tempo che decreta il fallimento dello Stato, ma anche e soprattutto del modello educativo di noi genitori non pronti alla esasperazione edonistica della società.

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