Simonetta Cesaroni, giovane donna romana, viene trovata morta il 7 agosto 1990 nell’ufficio dove lavorava in via Poma 2.
La giovane ventunenne aveva iniziato a lavorare nel gennaio 1990 come segretaria in uno studio contabile che aveva tra i suoi clienti l’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù.
Nell’estate dello stesso anno questo cliente chiede allo studio commerciale una segretaria per fare le sostituzioni e la scelta ricade proprio sulla nuova arrivata, che così inizia a lavorare per alcuni giorni alla settimana negli uffici dell’associazione alcuni giorni alla settimana.
Il delitto
Il pomeriggio del 7 agosto si reca al lavoro per finire alcune pratiche e contattare dei clienti, l’ultima telefonata risale alle 17.15, con Luigia Berrettini, l’ultima persona ad avere parlato con la donna.
Il datore di lavoro non riceve la chiamata che aveva concordato per le 18:20 e la famiglia non vedendola rientrare inizia a preoccuparsi e alle 21.30 si recano in via Poma insieme al fidanzato e al datore di lavoro dove si fanno aprire l’ufficio dalla moglie del portiere, trovando il cadavere della donna, uccisa con 29 coltellate in corpo.
Dalle indagini emerge che la donna ha certamente incontrato il suo aguzzino nello stesso ufficio verso le 17.30 e che avesse tentato di fuggire nella stanza accanto, dove poi era stato ritrovato il cadavere, ma senza riuscirci.
Raggiunta dall’uomo sarebbe stata immobilizzata a terra e tramortita con un colpo alla nuca; poi l’assassino le avrebbe messo un ginocchio sulla schiena, stringendole i fianchi con le gambe e provocandole degli ematomi. Una volta sul corpo della vittima avrebbe iniziato a infierire, fino a colpire con 29 coltellate, inferte con un tagliacarte, delle quali sei al viso, otto al petto e quattordici al basso ventre e sui genitali.
La barbarie non si ferma, infatti le vengono sottratti alcuni indumenti, come la biancheria intima, e monili come gli orecchini, un anello, un bracciale e la collana che portava. L’unico indumento ancora addosso alla vittima è il reggiseno, ancora allacciato, ma con il seno nudo.
Gli investigatori, dopo un primo sopralluogo fanno una scoperta inquietante, ovvero l’estrema pulizia della scena del crimine, cosa che fa pensare alla presenza di un complice che aveva ripulito il luogo del delitto.
Indagini e sospetti
I primi sospetti ricadono sul portiere della scala dove si trovavano gli uffici, Pietrino Vanacore, per via dell’assenza in cortile dalle 17 alle 23, inoltre viene trovato uno scontrino di un ferramenta dove il portiere ha comperato un frullino con il quale doveva aiutare l’inquilino del piano superiore, ma l’intervento avviene solamente alle 23, quindo avrebbe avuto il tempo di commettere l’omicidio.
Vanacore sarà liberato dopo 26 giorni di carcere perché la prova principale, il sangue sui pantaloni, si rivelò essere dello stesso Vanacore in quanto soffriva di emorroidi.
Nel 1991 le accuse contro di lui e altre persone vennero archiviate, decisione confermata nel 1995 dalla Corte di Cassazione.
Il secondo sospettato è stato il fidanzato, Raniero Busco, ipotesi supportata da tracce di sangue, ritrovate e analizzate nel 2004 dai RIS di Parma, e di dna e saliva sul reggiseno della vittima, riconducibili a un individuo di sesso maschile.
Si arriva, quindi, al processo nel 2009, dopo quasi venti anni dall’omicidio, e nonostante la morte, in circostanze poco chiare di Pietrino Vanacore, annegato in mare il 9 marzo 2010, quattro giorni prima della sua testimonianza al processo, i giudici condannano Busco.
La decisione del primo processo viene, però ribaltata dalla Corte d’assise, che assolve l’imputato, decisione confermata nel 2014 dalla Corte di Cassazione.
L’efferato omicidio di Simonetta Cesaroni rimane uno dei più famosi e discussi cold case italiani.