Sono passati oltre 200 anni da quando un certo Niccolo Paganini, a chi chiedeva, il bis rispondeva “Paganini non ripete”. Il riferimento del grande musicista genovese andava al fatto che le proprie musiche, spesso frutto di pura ispirazione artistica estemporanea, non potevano essere ripetute in quanto frutto del momento. Due secoli dopo la Ducati ebbe il proprio momento di ispirazione creando la serie 749/999.
Moto frutto di un design unico ed irripetibile, portatrici dell’ultima evoluzione del motore Desmoquattro, nonché primo della serie Testastretta, vennero progettate per un unico scopo: vincere. Non importava in quale categoria, in quale ambito, in quale contesto. La parola d’ordine di casa Ducati era una soltanto: arrivare davanti a tutti.
Ma il momento non era certo semplice tanto per la casa bolognese, quanto per i marchi motociclistici italiani in generale. Con l’eccezione di MV Agusta, riservata però ad un mercato di nicchia, nel settore delle supersportive solo Ducati, alla fine degli anni 90’, era riuscita a tenere testa alle moto giapponesi. Sfortunatamente il nuovo millennio stava portando con se l’aumento delle cilindrate sia nella mezzo litro, ormai dominata dalle nuove 600cc nipponiche, che nella classe 1.000 cc, che ormai aveva relegato le classi 800cc e 900cc alle moto turistiche ed alle enduro.
A fine degli anni 90’ quindi era necessario cambiare passo in quanto le fortunate serie 748, 916, 996 e 998 avevano ormai segnato il passo sia dal punto di vista prestazionale che dal punto di vista estetico.
La prima difficoltà da superare era rappresentata dal motore Desmoquattro la cui architettura impediva ulteriori aumenti di cilindrata. Per consentire l’aumento della capacità cilindrica venne riprogettata la testata con una riduzione dell’angolo tra le valvole. Contemporaneamente venne riprogettato il sistema di alimentazione e quello di scarico. Prendendo spunto dalla concorrenza giapponese, il nuovo propulsore Ducati sfruttava la pressione dell’aria nell’air box per incrementare la potenza, mentre gli scarichi avrebbero dovuto completare il lavoro generando una forte depressione che velocizzasse l’estrazione dei fumi. Ne risultò un motore bicilindrico a “V” di 90°,. La distribuzione veniva ripresa quella del Desmoquattro, con 4 valvole per cilindro ad azionamento “desmodromico” mediante cinghie dentate. Completava il tutto il basamento, ripreso dal precedente Desmoquattro, e l’alimentazione ad iniezione elettronica sviluppata dalla Magneti Marelli, e il raffreddamento a liquido. Il nuovo motore che derivò da questa estrema rivisitazione del Desmoquattro venne battezzato Testastretta.
Fin da subito fu chiaro che il nuovo motore era nato per fa eccellere la nuova nata di casa Ducati. Dai 124 cavalli della versione “base” della neonata 999 si arrivava, passando per vari “step” di potenza, ai 194 cavalli della versione sviluppata per la competizione nei campionati mondiali.
Ma a Borgo Panigale non bastava una meccanica dalle prestazioni eccezionali. La nuova Ducati doveva battere la concorrenza anche solo stando ferma parcheggiata. Per riuscirci la linea venne affidata a Pierre Terblanche, in collaborazione con l’ingegnere meccanico Massimo Tamburini. L’aspetto è molto teso, spigoloso e muscoloso, ma altrettanto elegante e trasmette subito una sensazione di potenza e agilità. È decisamente in linea coi canoni estetici delle moto della sua epoca, che tendono a un disegno ricco di spigoli, ma al tempo stesso molto originale, grazie all’impiego di soluzioni insolite come le prese d’aria del cupolino. In particolare la fanaleria anteriore, caratterizzata dalla soluzione a due fari sovrapposti, rimarrà unica. Al posteriore invece spicca il grande terminale di scarico doppio contenuto nella carena. Soluzione ottima per le prestazioni, ma molto meno per il comfort di guida (il passeggero, e perfino il pilota nei mesi più caldi, avvertono chiaramente la grande quantità di calore rilasciato).
Era ormai il 2002. La nuova 999 era ormai pronta a fare il suo debutto. La sua apparizione sul campo ridusse alla mera banalità l’estetica di tutti i modelli della concorrenza nipponica. La Ducati poi, nel tentativo di sfruttare al massimo il lavoro di sviluppo della nuova nata, decise di affiancarle un modello di cilindrata ridotta denominata 749. In pratica si trattava della risposta Ducati alle 600cc giapponesi. Questa sorella minore della 999 in realtà, nelle sue versioni più potenti, si dimostrerà più divertente da guidare rispetto alle versioni meno potenti della sorella maggiore. Tuttavia pagherà sempre uno scotto in fatto di peso rispetto alle concorrenti giapponesi, pur rimanendo sostanzialmente un avversario temibile per le classe 600cc giapponesi quali Honda Cbr e Yamaha R6.
Fu infatti sul campo di battaglia rappresentato dalle piste del mondiale Superbike che si giocò il destino dello scontro epico tra i “Golia” Giapponesi ed il “Davide” di Borgo Panigale. Tra il 2003 ed il 2007 la Ducati trionfò per ben tre volte nei campionati mondiali piloti e costruttori. Questo trionfo venne reso ancor più significativo dal fatto che in pista la Ducati si scontrava con case motociclistiche quali Honda, Yamaha e Suzuki i cui numeri in pista, e risorse per investimento in ricerca e sviluppo surclassavano di gran lunga le possibilità della casa italiana. Malgrado questo, e malgrado una certa ahimè storica “esterofilia” del motociclista medio italiano del tempo, la serie 749/999 si impose tanto sulla pista quanto nelle vendite. Tuttavia ciò non bastò. Malgrado ben 63 vittorie su 120 gare disputate nel mondiale Superbike, la rapida evoluzione delle moto nel primo decennio del XXI secolo minacciava di lasciare indietro la Ducati. Pertanto già nel 2006 tramontava l’astro della serie 749/999. Nel 2007 avvenne l’avvicendamento con la successiva serie 1098. La nuova Ducati aveva però rinunciato alla ricerca di un design futuristico in favore di un più ortodosso (e forse anche commerciale) design che seguisse le mode del tempo.
Era dunque finita. La 749/999 scompariva senza lasciare una vera erede. Proprio in questo, nella sua unicità, risiede ancora oggi, forse con ancor più forza che in passato, il fascino di questa moto che difficilmente riuscirà mai a passare inosservata, ed il cui sound e prestazioni riescono ancora oggi ad entusiasmare anche nel confronto con le generazioni di sportive più recenti. Come il grande Niccolò Paganini, anche Ducati “non ripete”.