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Gianluca Bagliani: “Di Gabriella Ferri ho amato lo spirito guerriero”

Intervista allo scultore che ha realizzato il busto, svelato due mesi fa nel quartiere di Testaccio a Roma, in onore dell’amatissima cantautrice romana

Il 29 ottobre in piazza Santa Maria Liberatrice 47 è stata presentata la scultura di Gianluca Bagliani in memoria di uno dei simboli della romanità, Gabriella Ferri. Il 18 settembre ricorreva l’ottantesimo anniversario dalla sua nascita. L’evento è stato dedicato alle donne, verso cui l’artista nutre un affetto particolare, e a tutti gli appassionati, in particolare a Gabriela Abati, “fan devota della Ferri ascoltando la quale si scaldava il cuore” (come la ricordano i figli Filippo e Antonella Gigli). Bagliani ci ha rivelato qualche notizia in più sulla sua arte e la manifestazione testaccina.

Gianluca Bagliani

In che modo si definirebbe come artista? Cosa vuole trasmettere con le sue sculture?

Un figurativo con una visione tutta sua della vita intento a riportare in auge l’arte classica. Vi è una bellissima frase della critica Rosalind Krauss che condivido: “Dopo Rodin è diventato scultura tutto ciò su cui inciampi facendo un passo indietro per guardare il quadro”. Per molti dal figurativo dovrei passare all’informale, ma non è nelle mie corde.

Come le è venuta in mente l’idea di omaggiare Gabriella Ferri?

Passeggiando per le vie di Testaccio e guardando la targa a lei dedicata ho pensato che fosse necessario qualcosa di più rappresentativo. Gabriella Ferri si lega al mio passato professionale, avendo già dedicato una statua ad Anna Magnani e Pier Paolo Pasolini ed essendoci un trait d’union fra loro. Non lascio mai nulla al caso.

Cosa le piaceva di lei?

Lo spirito guerriero. Voleva distruggere la donna-oggetto. Pensate, ad esempio, a quando si truccava da pagliaccio. È riuscita ad andare oltre la sua bellezza.

Il busto di Gabriella Ferri

L’evento del 29 ottobre è stato un successo. La manifestazione ha acquistato valore anche grazie alla presenza della sorella di Gabriella, Maria Teresa Ferri, e della madrina Giulia Ananìa. Cosa ha apprezzato di entrambe?

Maria Vittoria è carina e disponibile. Ringraziandomi mille volte ha trasmesso tutta la sua gratitudine. Giulia mi ha fatto un’ottima impressione sia come donna che come artista. È naturale e pulita nel modo di porsi. È stata una serata indimenticabile da tutti i punti di vista.

Perché ha coinvolto artisti quali la regista Kyrahm, l’attrice Valentina Siracusa e il musicista Sandro Bagazzini?

Kyrahm la conosco da tanti anni ed il modo che ha di approcciare le scene è insuperabile. Avevo già lavorato con lei in una delle sue performances più intense, “Davide e Golia”. Con Valentina, conosciuta grazie all’amico Davide Matera, ho avuto una forte connessione artistica fin da subito. Amo il suo spiritello fuori dal tempo. E’ una donna non collocabile storicamente. Sandro l’ho visto a teatro in occasione di uno spettacolo di Sarah Gain. Mi ha colpito la sensibilità, la sua essenza di uomo raro dall’animo divergente.

Che obiettivi si è prefissato con l’associazione Le Donne di Roma e che insegnamento le ha dato la donna più importante della sua vita, Maria Teresa Martignetti (ndr, la madre dell’artista venuta a mancare nel febbraio 2018)?

Proprio in virtù degli insegnamenti materni voglio riportare, attraverso l’arte, la donna di nuovo al centro. Mia madre aveva un intuito unico nel capire le persone, divenendo la confidente di tutti, anche dei miei amici. Trovava il buono in ciascuno. Bisogna dare un tocco di magia femminile in ogni cosa.

A quale scultura è più affezionato e perché?

Quella di Anita Garibaldi, non perché sia la più riuscita, ma perché rappresenta uno spartiacque. Da lì è partita la mia carriera, anche se il ricordo non è del tutto positivo, visto che fu una committenza mai pagata (ndr, ride). Mi appassionai al personaggio storico, tanto che Anita è divenuta il mio sogno ideale di donna.

Anita e Giuseppe Garibaldi

Quale è il complimento più bello ricevuto? La critica più costruttiva?

Una volta mi dissero: “sembra che le tue statue siano in procinto di parlare”. In effetti è questo che voglio raggiungere, il senso di una comunicazione totale. Di critiche costruttive non ne ho ricevute, ma sicuramente i vari “non ce la farai mai” mi hanno dato la spinta e la necessaria grinta per farcela.

Un maestro a cui si è ispirato?

A Vincenzo Gemito, un artista folle che riusciva ad infondere vita alle sue sculture, oltre ad essere un ottimo disegnatore ed orafo. Quando gli chiedevano perché non scolpisse la pietra lui rispondeva: “Perché voglio fare come Dio, ovvero plasmare la materia”. Mentre passeggiava aveva con sé un pezzetto di argilla e, nel momento in cui incontrava qualcuno e ci parlava, improvvisava facendogli un ritratto.

Un consiglio che vuole dare ai giovani artisti italiani?

Di non essere individualisti, pensando solo al proprio orticello, ma di collaborare tra loro. L’arte deve tornare ad avere una funzione sociale. Non siamo monadi, anche se l’epoca attuale vuole inculcarcelo in ogni modo.

Credits fotografici: Roberto Di Vito e Glauco Dattini

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