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I giorni che hanno cambiato la Storia – New York 11 settembre 2001

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Una collana di libri che raccoglie gli avvenimenti più importanti della storia, dalla caduta del muro di Berlino all’attentato alle Torri Gemelle, dalla catastrofe di Chernobyl all’attacco di Hiroshima.

Tra i volumi della collana “Giorni che hanno fatto la storia”, editi dalla Gazzetta dello Sport e Corriere della Sera, c’è anche “11.09.2001: l’attentato alle Torri Gemelle” del giornalista perugino Giovanni Gambini.

Giovanni Gambini, laureato in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Perugia, giornalista professionista, già autore di “Creando il Mare”, si cimenta nella ricostruzione giornalistica e storica di un evento che ha cambiato la storia, la politica, gli interessi economici e i rapporti tra potenze.

Cosa è successo l’11 settembre?

“Visto che parliamo di America, potremmo dire che è una vera e propria ‘domanda da un milione di dollari’. Secondo alcuni analisti è cambiata la storia, altri ne ridimensionano la portata sostenendo che molti eventi successivi si sarebbero comunque verificati. Facciamo parlare i fatti: alle 8:46 di quel martedì mattina, gli Stati Uniti, la nazione più potente al mondo, subiscono il più grande attacco terroristico della storia, nonché il primo nel proprio territorio. I due obiettivi, le Torri Gemelle e il Pentagono, erano i simboli della supremazia economica e militare degli americani: il loro crollo, ossessivamente raccontato dalle televisioni di tutto il mondo, diventò anche e soprattutto simbolico. Negli attentati muoiono circa 2000 persone, le surreali immagini di una New York devastata e in ginocchio circolano in diretta planetaria. Il terrorismo islamico segna il suo colpo più eclatante agli odiati valori occidentali. Insieme alle Torri cadono anche l’american dream e quella visione ottimista e un po’ infantile di progresso, fondata sull’idea che tutto il mondo avrebbe sposato il modello di vita a stelle e strisce e il benessere che esso prometteva. Come un sasso nello stagno, questo tragico evento ha innescato una serie vorticosa di processi con cui conviviamo tutti i giorni, dalla privacy alle regole di sicurezza, senza contare le successive guerre nel Vicino Oriente e l’arrivo del terrorismo islamico anche in Europa”.

Cosa dicono i complottisti?

“L’11 settembre è considerato da molti studiosi la madre di tutte le teorie cospirative. La circolazione di tesi alternative a quella ‘mainstream’ è stata anche favorita dalla crescente diffusione di Internet nella popolazione civile. Sull’attacco a Torri Gemelle e Pentagono sono nate talmente tante versioni complottiste che gli analisti le catalogano addirittura in famiglie. Ciò è in parte dovuto all’incredulità, specialmente americana, di fronte allo smacco subìto. Un recente sondaggio dimostra come moltissimi statunitensi credano anche oggi che gli attacchi fossero, se non direttamente pianificati, quantomeno già noti ad alcune branche deviate dell’apparato burocratico, al fine di giustificare le successive guerre in Afghanistan ed Iraq. Insomma, è talmente fastidioso pensare che la massima potenza mondiale sia stata colpita in modo così eclatante, che molti preferiscono rifugiarsi nella confortante idea di ‘inside job’. Sin dai giorni successivi cominciarono a circolare diverse notizie poi rivelatesi fasulle: ad esempio, che tutti gli ebrei che lavoravano al World Trade Center fossero stati avvertiti la sera prima di non presentarsi il giorno successivo. Secondo altre teorie, la modalità con cui sono crollate le Torri non sarebbe compatibile con l’impatto di un aereo: a causare il collasso sarebbero state delle cariche esplosive piazzate in punti chiave della struttura. C’è poi la teoria riguardante il crollo, a detta di alcuni inspiegabile, del ‘Seven World Trade Center’, un altro edificio facente parte dell’area. A onore del vero, autorevoli indagini e rapporti pubblicati nel corso del tempo hanno escluso categoricamente sia la connivenza di un presunto ‘Deep State’ che le teorie alternative sui cedimenti strutturali degli edifici. È stata semmai asseverata la completa impreparazione e assenza di dialogo fra le agenzie di sicurezza americane: l’11 settembre non si sarebbe mai verificato senza queste vistose mancanze. Semplificando, potremmo dire: gli attentati si potevano prevenire? La risposta è sì. Ma, allo stato dell’arte, si può sostenere che non c’è stato dolo da parte di nessuno. Siamo nell’ambito della colpa, inserita in un più ampio malfunzionamento del sistema amministrativo americano. Che infatti è stato pesantemente riformato all’indomani degli attacchi.

Qual è il contesto storico dell’11 settembre?

“Il contesto dell’11 settembre è quello di un mondo unipolare fondato sulla pax americana. Appena dieci anni prima, gli Stati Uniti erano usciti manifestamente vittoriosi dalla lotta geopolitica e ideologica contro l’Unione Sovietica, rimanendo di fatto l’unica superpotenza mondiale in gioco. Lo stesso George Bush Sr, allora presidente, aveva parlato della necessità di fondare un ‘New World Order’, intestandosi la guida della coalizione che condusse con successo la Prima Guerra del Golfo contro Saddam Hussein. Ma, secondo il vecchio proverbio, il diavolo fa le pentole e si scorda i coperchi: gli attentati dell’11 settembre hanno colto tutti di sorpresa, rimettendo in discussione questo assetto da ‘Fine della storia’. Gli Stati Uniti, ansiosi di mostrare la propria potenza ferita, hanno scatenato prima la guerra in Afghanistan e poi quella in Iraq, quest’ultima fondata su prove fasulle e su una vistosa prepotenza internazionale. Questo prolungato impegno bellico ha portato a una notevole perdita di uomini e mezzi, oltre che a un dissanguamento economico che ha lasciato scoperte altre aree del mondo, permettendo alla Russia di riorganizzarsi e alla Cina di crescere a vista d’occhio”.

Cosa racconta questo libro?

“Il libro cerca di raccontare questa complessità in modo semplice e scorrevole, alla portata di chiunque. C’è prima di tutto la narrazione della tragedia umana di quelle migliaia di uomini, donne e bambini che hanno perso la vita nei momenti apocalittici che tutti, tristemente, conosciamo. A ciò non si può non accompagnare un breve approfondimento sul fondamentalismo islamico, senza il quale sarebbe impossibile capire perché l’11 settembre si è verificato. Infine, segue una analisi su tutto ciò che accaduto dopo, dalle guerre in Medio Oriente alle continue ripercussioni del post-11 settembre sulla nostra vita quotidiana. Il racconto si sviluppa principalmente per immagini, per assicurare che i contenuti siano sempre accompagnati da un taglio divulgativo”.

“Operazione Oro Liquido”, le mafie alla conquista del mondo

Il nuovo volume del criminologo Domenico Romeo, indaga gli affari e le nuove frontiere del crimine: dal traffico di esseri umani al dark web

Domenico Romeo è criminologo presso l’ANCRIM di Milano, criminalista presso l’ACISF di Reggio Emilia e docente di Criminologia presso il Master di specializzazione biennale in Criminologia e Scienze Forensi Formazione Promethes. Con “Operazione Oro liquido. Come le organizzazioni criminali nel mondo e le cellule del terrorismo internazionale hanno conquistato il mercato grazie alla pandemia Covid” (Falco M. Edizioni) indaga sugli affari della malavita organizzata: traffico della droga, traffico di migranti, tratta di essere umani, pedopornografia, frodi informatiche, riciclaggio, usura, corruzione e finanziamento al terrorismo internazionale.

Nell’indagine finiscono anche i colletti bianchi e il dark-web, dove il crimine è il sottobosco di un mercato nero in cui brulicano i professionisti della cybercrime. Mafie internazionali che comunicano con circuiti segreti, crittografati e bioterrorismo di matrice ideologica all’assalto della scienza. Un viaggio dentro le organizzazioni criminali e le cellule del terrorismo internazionale, descrivendone ogni aspetto e strategia per conquistare mercati, società, imponendo consenso e potere approfittando della pandemia.

Perché e cosa è “Operazione Oro liquido”?

«Il termine “oro liquido”, che ci riporta al titolo del libro con la sola aggiunta del termine “operazione” (Operazione Oro Liquido, per l’appunto), è strettamente collegato a quanto dichiarato dall’ Interpol qualche mese fa per bocca del segretario generale Jurgen Stock. Lo stesso, difatti, mesi addietro, dichiarò apertamente in una specifica relazione che “c’è il serio rischio che i vaccini possano diventare l’oro liquido delle mafie”. In relazione a ciò, nel libro, in un capitolo ad hoc, si analizzano queste forme di ingerenze anche attraverso le forme di collaborazione fra la mafia giapponese (la Yakuza) e la mafia cinese (la Triade), un serio rischio paventato dall’organismo investigativo anzidetto. Concetto di “liquidità” che, all’interno del libro, viene richiamato in diverse forme a cominciare dal concetto di “mafia liquida”, definito nel 2008 dalla Commissione parlamentare antimafia nel 2008 (la N.C.O, ossia la Camorra, ad esempio, adopera perfettamente i connotati della cosiddetta “mafia liquida”, in quanto organizzazione di tipo pulviscolare). Concetto di liquidità che si richiama oltretutto al concetto di “modernità liquida” di Bauman (ossia lo sgretolamento di valori etici già consolidati per via di una società in cui il relativismo vuole imporsi come dottrina dominante) e concetto di “liquidità” che si riconduce ai fiumi di economia sommersa ed illegale che durante la pandemia si acuisce nei delitti internazionali legati al riciclaggio di denaro».

Mafie e terrorismo, ci sono rapporti? «La pandemia ha messo in risalto un aspetto sociale inequivocabile: il male, a volte arriva prima, si fa trovare più preparato rispetto al tessuto connettivo facente capo alla società civile. Pertanto, all’interno del libro, si diversificano i ruoli delle organizzazioni criminali che hanno agito durante i lockdown prolungati: cartelli criminali dalla matrice terroristica ed internazionale e cartelli criminali dalla matrice strettamente mafiosa. Fra le rispettive organizzazioni non si è registrato un patto di collaborazione ufficialmente accertato e certificato da operazioni interforze, bensì una spartizione di ruoli, compiti, territori, in forma subdola, non dichiarata, finalizzata alla conquista del mercato e del territorio».

Due capitoli sono dedicati a sport e droga, qual è la situazione?

«Le mafie autoctone hanno sondato tutto il mercato e, relativamente allo sport, non hanno tralasciato il business delle scommesse sportive. L’aspetto trascendentale ed incredibile della vicenda si è vissuto nell’ est Europa addirittura a campionati fermi quando entourage criminali sono riusciti ad organizzare finti incontri di calcio, frodando nelle scommesse. Nel caso di specie si è agito in un know how basato su sodalizi talmente preparati che sono riusciti a creare sinergie fra cybercrime e shadow economy (economia sommersa illegale). Riguardo la droga l’aspetto è ancora più complesso ed entriamo nel merito della trasnazionalità del fenomeno. Le mafie, o le organizzazioni terroristiche dedite al traffico della droga, si sono dovute adeguare ad un cambiamento del mercato per la crisi della produzione dell’eroina e della cocaina e questo ha prodotto la nascita di un nuovo target di assuntori seriali che si sono catapultati sull’utilizzo di sostanze surrogate (crack, acido lisergico, metanfetamine e quant’altro)».

Tratta di esseri umani, prostituzione e migranti, sono la cassaforte della criminalità insieme alla droga?

«Con queste fenomenologie entriamo nel cuore dell’establishment criminale attivo in periodo di pandemia. Tutte queste dinamiche, oltre ad avere prodotti fatturati colossali e descritti nel libro, hanno una matrice comune, un denominatore analogo: la dark web, l’ambito più estremo, plumbeo, della cybercrime. La dark web è un circuito oscuro, segreto, accessibile solo mediante appositi sistemi crittografati, in cui gravita una zona franca del male a 360 gradi. Un regno invisibile dove molte ragazze, dapprime sequestrate in talune zone del mondo, vengono deportate nell’immediatezza e conseguentemente esposte in un mercato di vendita ed utilizzate come baratto per droga e contrabbando. Un mondo nero dove la zona grigia internazionale si muove in una logica di mercato simile e parallela alle norme del mercato reale e legale, in cui la legge della domanda e dell’offerta viene applicata non più outdoor, ma indoor, con impressionanti congiunture legate, altresì, alla pedopornografia. Queste e tante altre dinamiche vengono descritte con dati oggettivi, inequivocabili ed analoghi, in relazione alla tratta degli esseri umani in tempo di lockdown».

Studiare la “mente criminale”, un approccio tra scienza e investigazione

La passione per la cronaca nera e i delitti, la voglia di approfondire, studiare e cercare risposte per penetrare la “mente criminale”. Marta Casà, siciliana trapiantata a Modena per seguire il corso di studi in Scienze Giuridiche, per poi virare su Scienze Investigative presso l’Università di Foggia per approfondire la criminalistica.

Sulle pagine di “Mente Criminale”, il suo spazio online, affronta casi di cronaca nera con il taglio della studiosa.

Che cos’è la criminologia?

“La criminologia è una scienza che studia i comportamenti criminali, cosiddetti devianti, degli autori di reato ma anche i comportamenti delle vittime. Si muove quindi sul versante psico sociale, al contrario la criminalistica invece, cosa ben diversa, fa parte delle cosiddette scienze forensi, discipline che si occupano di applicare la scienza alle leggi penali allo scopo di utilizzare risultati ed elementi scientifici a fini probatori”.

Come si diventa criminologi, quale percorso formativo?

“Ad oggi non esiste in Italia ‘l’università della Criminologia’ in senso stretto, per intenderci, come invece accade in America o in Inghilterra, in Italia per intraprendere questo percorso è necessario prima laurearsi presso corsi di laurea triennali o magistrali (a seconda poi del campo specialistico) come Psicologia, Sociologia, Medicina, Psichiatria, Giurisprudenza e poi in seguito intraprendere un biennio specialistico in ambito criminologico, Torino, Bologna e Milano offrono ottimi corsi di studio magistrale”.

Si tratta di una nuova professione o una competenza suppletiva, cioè completa l’avvocato, il medico, lo psicologo?

“Sì e no. In America ad esempio la professione del criminologo e del criminalista è a sé stante, quindi è una vera e propria figura indipendente. In Italia invece la preparazione del criminologo, è inevitabilmente composta da più discipline, infatti la prima cosa che impari leggendo un manuale di criminologia è che è una scienza multidisciplinare, ovvero funziona solo se il professionista è competente in più ambiti e riesce a connettere il sapere acquisito all’intuito, che ovviamente non si apprende in aula. Può essere una competenza suppletiva se si vuole arricchire la propria professione di base, ad esempio uno psicologo già attivo nel suo campo lavorativo può decidere di specializzarsi in psicologia criminale e quindi trattare casi specifici all’interno di strutture opportune o offrendo la sua consulenza alle indagini”.

Quali sono le attività che svolge un criminologo e chi le commissiona, le procure, i difensori degli indagati?

“Fondamentalmente il lavoro del criminologo è un lavoro da studioso, al contrario del criminalista o chi come me studia investigazione, il vero criminologo, in Italia s’intende, non va sul campo, è una figura ancora secondaria alla prime fasi delle indagini che analizza e studia il comportamento e il modus operandi del reo e la cosiddetta vittimologia. Attraverso le informazioni che possiamo acquisire da una buona perizia, possiamo risalire al tipo di soggetto, alle sue abitudini, al tipo di vittima che preferisce, al modus operandi, al quadro clinico e psicologico del soggetto in questione. Ovviamente è chiaro che il criminologo trova la sua apoteosi professionale nello studio degli assassini seriali. Il criminologo può essere nominato quando è necessaria la perizia, quindi una consulenza specialistica, e può essere nominato sia di parte sia dalla Procura che indaga, ad esempio la parte offesa da un reato può nominare un perito criminologo a sua scelta, così come può fare con altri specialisti”.

Come ci si approccia ad un caso, ad un delitto? Ci sono differenze tra vittime e reo?

“Beh, ogni caso è diverso, per quanto tutti possano sembrare uguali agli occhi di chi non è dell’ambiente. La cosa da tenere presente quando ci si approccia ad un nuovo caso è il porsi delle domande continuamente, una domanda porta ad una risposta ed una risposta ad una nuova domanda, domande fatte ovviamente con intelligenza e dopo aver acquisito tutto il materiale disponibile. La prima domanda che mi pongo sempre è ‘perché?’ La motivazione, ovvero il cosiddetto movente, è il motore di ogni azione criminosa, senza movente non c’è delitto, o almeno nella maggior parte dei casi è così. Da lì si abbozza una ricostruzione della dinamica degli eventi, arrivando all’analisi del modus operandi del reo, ovvero dell’autore del reato, fino a cercare di entrare nella testa del soggetto e poter prevedere anche le sue mosse. Un vero professionista non smette mai di studiare e porsi domande”.

Come è nata questa idea professionale?

“Per caso, detto molto sinceramente. Ho sempre avuto interesse per la psicologia e per la scienza, soprattutto per la ‘pato’ scienza, ma mai avrei pensato di poterci costruire un percorso professionale. Avevo in mente tutt’altro fino a non molti anni fa”.

Maltrattamenti, stalking e social: come cambiano i reati in famiglia

Intervista all’avvocato Stefania Crespi: “Preoccupanti i dati dell’aumento dei casi nel periodo del lockdown”

I reati contro e nella famiglia. Come è cambiato il panorama del diritto, delle giustizia e dei fatti di cronaca che coinvolgono la famiglia e i suoi componenti? L’abbiamo chiesto all’avvocato Stefania Crespi, penalista del Foro di Milano.

L’avvocato Crespi dopo la laurea con pieni voti assoluti e lode in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Milano, lavorando presso un noto studio legale milanese, ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione e responsabilità penale in ambito sanitario.

Da anni segue procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia. Difende minori in procedimenti penali ed è curatore speciale del minore. Fa parte del team legale di Donnexstrada.

Avvocato Crespi, che cosa si intende per Diritto penale della famiglia?

“Il Diritto penale della famiglia è quella branca del diritto penale che si occupa dei reati commessi nell’ambito della famiglia; si tutelano sia le persone unite dal vincolo del matrimonio, sia quelle conviventi. Tra questi reati pare opportuno citare in particolare la violazione degli obblighi di assistenza familiare (articolo 570 codice penale), l’abuso di mezzi di correzione e di disciplina (articolo 571 codice penale), i maltrattamenti in famiglia (articolo 572 codice penale) e la sottrazione di persone incapaci (articolo 574 codice penale). Tanti altri reati, sebbene non siano previsti nella sezione del codice penale relativo alla famiglia, sono comunque collegati alle figure appartenenti a nuclei familiari: violenze fisiche o psicologiche, le minacce, offese durante la convivenza. Un altro reato commesso spesso nei confronti di familiari è lo stalking, ad esempio atti persecutori realizzati in seguito alla fine di una relazione oppure commesso da un genitore nei confronti dei figli con condotte disturbanti, ripetitive, intense (come irruzioni in occasioni conviviali o sportive, pedinamenti, controlli ossessivi). L’articolo 612 bis codice penale punisce la condotta di colui che con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata da relazione affettiva, ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. Recentemente la Cassazione ha ritenuto integrato lo stalking nei confronti dell’ex coniuge che prova in tutti i modi ad impedire all’altro di iniziare una nuova vita. Inoltre, ultimamente la Suprema Corte si è pronunciata sulla sussistenza del delitto di violenza sessuale, qualora uno dei due coniugi venga obbligato dall’altro a subire rapporti sessuali o anche baci sulla bocca”.

Quali sono i reati più frequenti in famiglia?

“Uno dei reati maggiormente commessi in ambito familiare è quello di maltrattamenti in famiglia (la cosiddetta violenza domestica). Il reato di ‘maltrattamenti contro familiari e conviventi’ è collocato tra i delitti contro la famiglia e, in particolare, contro l’assistenza familiare e non, quindi, come nel codice penale del 1889 (Codice Zanardelli) fra i reati contro la persona. Il delitto in esame si configura quando un soggetto maltratta una persona della famiglia o comunque convivente o una persona sottoposta alla sua autorità o che gli è stata affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte: sono, dunque, possibili parti offese il coniuge, i consanguinei, gli affini, gli adottati, gli adottanti, il convivente more uxorio, altri parenti e anche i domestici, purché conviventi. L’articolo 572 c.p. è applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma a qualunque relazione che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale. Il reato è configurabile anche in presenza di un rapporto di convivenza di breve durata, purché sia sorta una prospettiva di stabilità e un’attesa di reciproca solidarietà. Si tratta di un reato abituale ossia che richiede per la sua integrazione condotte ripetute nel tempo, come ‘ceffoni’, uso di cucchiai di legno, ma anche offese verbali: da tempo la Cassazione sostiene che espressioni denigratorie possano essere idonee a causare sofferenze continue e prevaricazione. Va ricordato, inoltre, il fenomeno del ‘Parental abuse’ o violenza filio-parentale, commessa dagli adolescenti che abusano fisicamente, emotivamente e verbalmente dei propri genitori”.

C’è un’attinenza tra social e mondo degli affetti?

“Sicuramente i social hanno ampliato la tipologia di condotte di alcuni reati commessi a danno del partner, compagno, coniuge o fidanzato. Ad esempio il controllo del profilo di Facebook o Instagram: quando regna la pace tra i coniugi, essi possono scambiarsi le password e quindi manifestare il consenso all’accesso, ma quando inizia la crisi, la situazione cambia. Secondo la Cassazione la condivisione di username e password con il partner non è un’implicita autorizzazione all’introduzione nel profilo social dell’altro e sussiste il reato di abusivo accesso a sistema informatico. Anche quando un coniuge è legittimamente a conoscenza delle chiavi di accesso dell’account Facebook dell’altro, non può utilizzarle in contrasto con la volontà di quest’ultimo. Il partner può commettere anche il reato di sostituzione di persona, se utilizza il social dell’altro/a simulando di essere lui/lei. Se si strappa con violenza il cellulare al/alla partner, si commette il reato di rapina; se si ‘sbirciano’ le chat senza autorizzazione si commette il reato di interferenze illecite nella vita privata. Un altro reato connesso ai social in ambito familiare è quello di diffamazione, qualora si scrivano offese sui social, oppure messaggi denigratori via chat nei confronti del partner o di parenti.

Si è occupata anche di violenza contro gli uomini? Qual è la situazione?

“La violenza sugli uomini è molto più diffusa di quanto si possa pensare, ma viene poco trattata: occorrerebbe, invece, attribuirle la giusta attenzione, come a qualunque altro abuso. Da una ricerca ISTAT del 2018 è emerso che nel nostro Paese nel periodo 2015-2016 3 milioni di uomini hanno subìto abusi sessuali nel corso della loro vita. Tali numeri potrebbero non essere reali, poiché gli uomini – a causa dello stereotipo di virilità o per il timore di non essere creduti – decidono di non denunciare la violenza subìta. Diverse sono le forme di violenza che vengono realizzate contro gli uomini (da altri uomini e/o da donne): molestie verbali, stalking, aggressività fisica, violenza domestica e psicologica protratta nel tempo che causa enormi danni. Sottolineo come l’aumento delle violenze domestiche – anche contro gli uomini – sia stato uno degli effetti collaterali dei lockdown durante la pandemia, non solo in Italia, ma anche in Germania, dove nel 2020 sono state quasi 2.000 le richieste di aiuto. Per quanto riguarda lo stalking la percentuale di donne vittime è il triplo rispetto a quella degli uomini, ma ciò non deve portare a ritenere questo reato meno grave, quando la vittima è un uomo. Secondo il Rapporto Italia 2021 di Eurispes il 20,3% degli uomini subiscono stalking da parte di ex partner e il 13,5% da parte di colleghe. Se l’agente è un altro uomo le condotte sono più fisiche ed aggressive; se, invece, realizzate da donne sono rappresentante da comunicazioni indesiderate, come numerose telefonate, e-mail, biglietti, scritte sui muri o contatti sgraditi, pedinamenti, appostamenti”.

Bullismo e cyberbullismo si possono ricondurre alle famiglie eventuali risvolti penali?

“Vanno fatte alcune precisazioni. In primo luogo, va ricordato che il bullismo di per sé non è un reato, ma è possibile punire penalmente gli atti attraverso i quali si manifesta: reato di percosse per aggressioni fisiche, la diffamazione per offese pronunciate in assenza della persona offesa (aggravata se effettuata tramite social network), lesioni, minacce, violenza privata se la vittima è costretta, con violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa, ma anche ‘stalking’, istigazione al suicidio e reati contro il patrimonio (furto, estorsione). In secondo luogo, i minori possono essere imputati in un processo penale, solo se hanno compiuto 14 anni. Se i fatti dovessero verificarsi presso l’abitazione di un minore sotto i 14 anni ed i genitori dovessero essere assenti, potrebbe essere contestato loro il reato di abbandono di minori ai sensi dell’articolo 591 codice penale. Infine, nel nostro sistema vige il principio della responsabilità penale personale, pertanto i genitori non possono essere considerati responsabili penalmente per i reati commessi dai loro figli. Inoltre, nel processo penale minorile non è ammessa la costituzione di parte civile per il risarcimento del danno. Con riguardo alla responsabilità civile, segnalo che il Tribunale di Potenza ha accolto la domanda risarcitoria avanzata nei confronti del Ministero dell’Istruzione da parte dei genitori di un bambino di anni 10, rimasto vittima di atti di bullismo compiuti all’interno della scuola, durante l’ora di ricreazione presso i bagni dell’istituto da un altro alunno. È stata riconosciuta la responsabilità esclusivamente all’amministrazione scolastica, perché non ha fornito la prova liberatoria consistente nella dimostrazione che era stata esercitata la sorveglianza sugli allievi con una diligenza idonea a impedire il fatto. Ritengo opportuno ricordare un fenomeno chiamato Happy slapping (Schiaffeggio allegro) o cyberbashing una forma particolare di bullismo che da ‘reale’ diventa anche ‘virtuale’: uno o più bulli in gruppo scattano foto o realizzano dei video in cui la vittima viene picchiata o subisce violenze psichiche e, poi,diffondono in rete le immagini o i video, con lo scopo di ridicolizzarla, umiliarla e svilirla. Diversi sono i reati configurabili nei casi di Happy slapping: percosse (articolo 581 codice penale), lesioni personali (articolo 582 codice penale), diffamazione (articolo 595 codice penale), interferenze illecite nella vita privata (articolo 615 bis codice penale), minacce”.

Violenza psicologiche ed emotive, come si provano a differenza di quelle fisiche?

“La violenza psicologica ed emotiva può costituire reato come quella fisica. Non trattandosi di lesioni fisiche visibili o documentabili con certificati medici, pare più arduo dimostrare l’esistenza di tali tipi di violenze, che sono infatti state definite ‘lividi invisibili’. Tali prove potrebbero essere rappresentate, in primo luogo, dalla testimonianza della persona offesa: la Cassazione ha ritenuto di attribuire grande importanza a tali dichiarazioni, indipendentemente dalla sussistenza di altri elementi che ne confermino l’attendibilità; chiaramente devono essere narrazioni molto precise per fornire indicazioni di carattere fattuale e temporale. Inoltre, sono rilevanti le testimonianze di persone che hanno potuto assistere agli episodi di violenza psicologica; nel processo penale può essere nominato un consulente tecnico (psicologo o neuropsichiatra) per produrre una relazione tecnica, rivolta a comprovare lo stato di prevaricazione psicologica della vittima. Infine, potrebbero essere prodotte registrazioni audio e video di episodi di violenza subite, acquisibili come documenti ex articolo 234 codice di procedura penale”.

Femminicidio, un fenomeno tutto moderno o lo conosciamo perché se ne parla di più che in passato?

“Innanzitutto va precisato come il ‘femminicidio’ nel nostro ordinamento non esista come reato. Da Strasburgo ne è, invece, giunta una precisa definizione: ‘la forma più estrema di violenza di genere contro le donne e le ragazze’. Sicuramente l’omicidio delle donne è un fenomeno in aumento rispetto al passato e la stampa vi attribuisce più rilevanza rispetto al passato. Nel 2021 e 2020 ci sono state più di 100 vittime; nel 2019 sono state uccise in Europa 1.421 donne, cioè una media di 4 al giorno. Sicuramente è un fenomeno che è aumentato durante la pandemia e, soprattutto, il lockdown. Vorrei ricordare una recente pronuncia delle Sezioni Unite, relativa al rapporto tra stalking e successivo omicidio della vittima di atti persecutori. Le Sezioni Unite hanno rilevato come l’omicidio, realizzato a seguito di atti persecutori nei confronti della medesima vittima, integri un reato complesso, in ragione della unitarietà del fatto: i fatti di reato di omicidio e di atti persecutori, anche se separati sul piano cronologico, rispondono ad una peculiare dinamica criminologica, perché sono espressione della medesima volontà persecutoria. Quindi si applica l’articolo 576 comma 1 n. 5.1 codice penale, che prevede l’ergastolo”.

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